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Le ferite dell’attentato islamista di Barcellona sono ancora vive, ma già da qualche giorno l’attenzione della politica spagnola è catturata da un tema che a breve occuperà l’agenda e il dibattito europeo: il referendum per l’indipendenza della Catalogna, in programma il prossimo 1 ottobre e considerato vincolante dal governo catalano.

A differenza di quanto accadde per il referendum per l’indipendenza della Scozia del 2015 (negoziato con Londra, autorizzato e dunque pienamente legale nel contesto giuridico britannico), la consultazione catalana non è autorizzata dal governo di Madrid, che anzi minaccia persino le aziende fornitrici di matite per i seggi se parteciperanno alla gara d’appalto della Generalitat de Catalunya.

I gruppi di maggioranza al Parlamento di Barcellona hanno presentato ieri una proposta di “Legge di giurisprudenza transitoria e di fondazione della Repubblica”: nelle intenzioni del governo guidato da Carles Puigdemont, essa andrà approvata prima del referendum e dovrebbe essere la legge suprema del sistema legale catalano fino all’approvazione di una futura Costituzione, in caso di vittoria del Sì alla secessione.

Tra le altre cose, la legge transitoria prevede l’incorporazione e la continuità della disciplina dell’Unione Europea nella legislazione interna catalana (anche per la normativa comunitaria successiva all’indipendenza), la surroga dello Stato catalano in tutte le obbligazioni, contratti e convenzioni stipulate dalla Spagna (con una clausola aperta rispetto a un eventuale negoziato con Madrid per assumersi parte del debito pubblico), il rispetto dei trattati internazionali finora ratificati da Madrid.

Un elemento chiave della legge di transizione riguarda la disciplina della cittadinanza: riconoscendo la doppia cittadinanza catalana e spagnola ai cittadini del nuovo ipotetico Stato, il governo di Barcellona mira ad avere un popolo di cittadini comunitari, indipendentemente dall’adesione formale della Catalogna all’Unione Europea (impossibile senza il consenso di Madrid).

A poco più di un mese dal voto, il governo Rajoy spera di vincere la partita negando a priori qualsiasi dialogo o confronto con i catalani, sulla falsariga di quanto accaduto nell’ultimo decennio, e provando a “smontare” la questione in termini giuridici e giudiziari, ma non politici. C’è chi vede in questa inazione lo stesso errore che la Spagna compì decenni e secoli fa e che portò alla perdita delle colonie americane, africane, a Guam e alle Filippine.

Di contro, è evidente che gli indipendentisti catalani stanno ormai esasperando il clima, utilizzando anche la lotta al terrorismo, gli eventi successivi all’attentato del 17 agosto e il ruolo fondamentale dei Mossos d’Esquadra (la polizia catalana, che dal 2008 ha sostituito la polizia spagnola e la guardia civile nel territorio catalano) per alimentare l’orgoglio nazionale e il favore alla causa separatista. La quale, va detto, ha una netta maggioranza parlamentare ma un consenso non certo plebiscitario nella popolazione.

La sensazione, tuttavia, è che Rajoy stia commettendo tutti gli errori che è possibile commettere per far crescere il consenso altrui: dopo l’attentato terroristico, negare l’accesso ai database di Europol ai Mossos d’Esquadra è apparso insensato e pericoloso, anche ai cittadini catalani contrari all’indipendenza. Negli ultimi giorni il PSOE ha offerto la propria collaborazione al PP per contrastare il fronte indipendentista, ma ha criticato l’approccio “immobilista” dei popolari: il leader socialista Pedro Sanchez ha più volte chiesto a Mariano Rajoy di proporre soluzioni politiche ai catalani, di offrire loro una forma più ampia di autonomia, di promuovere un modello “plurinazionale” che attragga un’ampia fetta della popolazione catalana più del salto nel vuoto dell’indipendenza. Un approccio finora rifiutato dai popolari, che anzi considerano la disponibilità al dialogo dei sociali come una sponda ai catalanisti.

La partita è ancora lunga, mancano ancora molte settimane, ma è obiettivo di Strade coprire la vicenda con attenzione e dovizia di particolari, perché la nostra sensazione è che nella partita catalana si giochi una partita cruciale per il futuro dell’intera Europa.