Quando Putin disse a Barroso: 'Se voglio prendo Kiev in due settimane'
Diritto e libertà
È ancora celeberrima l’analisi di Lucio Caracciolo, che dieci giorni prima dell’invasione Russa ritenne estremamente difficile che Putin potesse spingersi a tanto e che sarebbe stato un “pazzo suicida” a marciare su Kiev, perché così facendo si sarebbe scavato la fossa.
“Putin ha sicuramente letto Sun Tzu. Sa che la vittoria vera si ottiene senza combattere”, reputò Caracciolo.
Il resto è storia, come si dice.
È interessante però ricordare cosa avesse lasciato espressamente intendere Putin nel 2014, dopo la prima violazione della sovranità ucraina realizzatasi con la presa della Crimea, e che cosa avesse ipotizzato per il futuro lo stesso Lucio Caracciolo nel 2008.
A febbraio 2014 Putin invase la Crimea inviando truppe irregolari e nel giro di un mese si tenne il famoso finto referendum di annessione.
Il 30 agosto 2014 i capi di Stato e di governo europei si riunirono in un vertice straordinario a Bruxelles.
All’ordine del giorno la nomina di Donald Tusk a Presidente del Consiglio europeo e di Federica Mogherini ad Alto rappresentante, oltre alla crisi economica e la situazione generale in politica estera (Ucraina, Iraq/Siria, Gaza, Libia ed ebola).
Il giorno prima Putin propose un negoziato volto a cristallizzare la situazione in Crimea e nelle altre zone controllate dai separatisti nel Donbass e consolidare così i territori occupati (quello che spererebbe oggi).
Come riportò allora Repubblica - senza ricevere smentite - quando affrontarono il dossier ucraino i ventotto capi di stato e di governo si divisero: Ungheria, Slovacchia e Cipro si opposero ad un inasprimento delle sanzioni verso la Russia.
I Paesi del baltico, invece, spinsero affinché l'Europa, come già fatto con i curdi, spedisse a Kiev le armi necessarie a resistere ai separatisti russi. La presidente lituana Dalia Grybauskaite fu durissima: "La Russia è in guerra con l'Europa".
Anche Angela Merkel risultò furiosa, nonostante la stretta dipendenza dell’economia tedesca dal gas russo (o forse proprio per questo). Per la Cancelliera Putin stava andando chiaramente verso l’escalation militare e non c’erano più limiti alla sua imprevedibilità.
Il britannico Cameron fu drastico: "Questa volta non possiamo venire incontro alle pretese di Putin, si è già preso la Crimea e non possiamo permettere che prenda tutto il paese, rischiamo di ripetere gli errori commessi con Hitler a Monaco nel '38, non sappiamo cosa possa succedere dopo".
Quando prese la parola il presidente uscente della Commissione, Josè Manuel Barroso, raccontò di aver appena sentito Putin e spiegò che quando gli chiese conto dei militari mandati in Crimea e nel Donbass, il leader russo rispose con minacce: "Il problema non è questo - fu la risposta riferita da Barroso - ma che se voglio in due settimane prendo Kiev".
Lo stesso Lucio Caracciolo, in un editoriale del 2008, profetizzando meglio, in quel caso, il futuro che sarebbe venuto, spiegò il piano espansionista di Putin.
Un progetto caratterizzato da tre punti. A parte i primi due, narrati con un certo piglio avverso all’alleanza atlantica e una certa esaltazione per la restaurazione russa, è d’interesse soprattutto il terzo, che preconizza la reintegrazione di alcuni territori già sovietici nello spazio federale: l’Ossezia del Sud, la Transnistria, la Crimea, l’Ucraina sud-orientale e forse il Kirghizistan.
Nel corso del vertice Nato conclusosi solo poco tempo prima in quel 2008, in fondo, fu lo stesso Putin a spiegare la situazione a George W. Bush: “Capisci, George? L’Ucraina non è nemmeno uno Stato! Che cos’è l’Ucraina? Parte del suo territorio è Europa orientale. Ma l’altra parte, quella più importante, gliel’abbiamo regalata noi!”.
Insomma, Putin aveva già detto tutto nel 2008 e nel 2014. E nel 2008 Caracciolo c’aveva visto benissimo.