Il clericalismo ateo minaccia sia la laicità dello Stato che la politica cristiana
Diritto e libertà
L'Italia sta morendo, poche coppie in età fertile, pochissime nascite. La Destra italiana fa la guerra a chi i figli li vuole. Ricordate la terribile "legge 40" di Berlusconi e co.? Costrinse migliaia di giovani coppie italiane ad emigrare per curare l'infertilità. Quello che accade oggi con il divieto di trascrivere in Italia gli atti di nascita esteri ha, quindi, un precedente illustre.
Per i conservatori di casa nostra non conta il futuro, né la libertà di coscienza, né il progresso scientifico: conta tenere il punto ideologico sulla propria visione del mondo spacciata come moralità pubblica. È la fantomatica "società perfetta" (quella del "mulino bianco") contro la società aperta. Da che parte possono stare i sinceri liberali? Ci può essere spazio di dialogo vero con coloro che si pregiano di operare per una "teologia civile" sganciata da vera fede?
Il culto dei "valori non negoziabili", infatti, ha poco a che fare con il kerygma, con il cuore del messaggio evangelico, con la Buona Novella, mentre risponde ad interessi immanenti precisi, di ordine, di conservazione dello status quo.
Il fulcro del moralismo della Destra italiana – fin dai tempi della leadership indiscussa di Berlusconi – è un "ateismo devoto" che confonde cristianesimo con religione di Stato - di Potere - e che mischia indebitamente la prospettiva confessionale autoritaria – ben poco seguita dagli stessi fedeli – con la fede in "Altro", con la dualizzazione dell'immanenza che si spalanca una volta abbandonata la pretesa di Verità e di Giustizia incarnata dalla propria appartenenza di gruppo e che "apre" il mondo esterno - la grande società - alla ricchezza del pluralismo, all'ampiezza infinita di un "io collettivo" declinato come " the people", come un Noi-Tutti.
È questa una prospettiva decisamente non clericale (e anche Papa Francesco si dice anticlericale quando, nella enciclica Fratelli Tutti, propone il metodo del dialogo, del compromesso e dell'arbitrato come antidoto nonviolento ai conflitti), che rinnega ogni "filosofia prima", l'idea stessa di una dottrina di Stato e sociale di matrice teologistica e escludente.
Paradossalmente, è proprio questa visione politica non ghettizzante e aperta al contributo corale del nuovo, della contemporaneità - aperta al progresso sociale - che sconfina nella trascendenza di senso propria della fede genuina: quella della fiducia di fondo nella Salvezza da costruire qui ed ora.
Non è vero, infatti, che il tempo, la Storia, la nostra storia individuale, sia indifferente alle cose ultime. Le penultime, infatti, contano, eccome! Il presente ricapitola in sè passato e futuro e, nella costruzione sempre nuova dello stesso Mondo, mostra l'infinità di un percorso che non termina con la morte e che mira ad una spiritualizzazione creativa costante, liberante.
Aldo Capitini, l'inventore del liberalsocialismo, il religioso "aperto" persuaso e colpito dalla "moltiplicazione" dei Cristi Crocifissi, parlava della "compresenza dei morti e dei viventi" come del locus, attuale ed eterno, della presenza divina nell'intimo del Tu-Tutti.
Marco Pannella, che di Capitini fu l'allievo spirituale più prolifico, declinò la sua "fede in Altro" (in altro rispetto al clericalismo di potere) come motore politico dell'apertura costante della base democratica del Paese, come fonte e "coscienza" delle battaglie nonviolente per la scelta, per la libertà, per la legalizzazione dei nuovi fenomeni sociali emergenti, contro il proibizionismo di "classe" che consente ai ricchi e ai potenti il lusso dell'espatrio e del cavillo legalistico, mentre condanna il povero, l'inerte, il debole, il diminuito, il malato, il diverso, alla forza ottusa del panpenalismo, di una legge che impone la "giusta" declinazione dei desideri e dei bisogni.