Pannella solo grande

 

Andrebbe approfondita la teologia-politica di Marco Pannella, così connessa tanto alla trascendenza della fede in Altro (rispetto al clericalismo di potere) quanto alla "compresenza dei vivi e dei morti", intesa - nel segno di Aldo Capitini - come efficacia di un impegno che vince l'assenza, che non si arrende al dato sociologico. Sembra quasi che il percorso di Pannella sia stato mosso da una coazione al movimento necessitata dalla temperie e dal destino. Come il frutto, appunto, non di una sola persona ma di una "presenza" comune che ha saputo tradurre nel corso dei decenni gli insegnamenti e le opere più feconde degli intellettuali e dei politici che hanno messo al centro la Persona e non l'ideologia.

Fanno bene i radicali a dire che Pannella è di tutti, perché quell'esempio "totale" di dedizione non alla "Causa" ma agli emarginati e ai reietti, è in tutti coloro che ancora oggi "sentono" lo stimolo di una politica concreta fondata sullo Stato di Diritto. Questa connessione, come tale, è profondamente "religiosa" e ci fa comprendere come, tanto Capitini quanto Pannella, siano riusciti a proiettare lo storicismo crociano in un oltre, che è una "aggiunta" di senso e di speranza e che ha dilatato lo spazio liberale "liberandolo" dalla "razionalità" dello status quo.

Contro ogni rassegnazione prudenziale, i due alfieri della Nonviolenza hanno piegato l'ideale incarnandolo, incistandolo nel reale per indirizzare il mutamento verso lo specifico umano e i suoi diritti. Contro l'ipostatizzazione hegeliana dello Stato e contro la riduzione di valore del "singolo" assorbito in un processo storico fine a se stesso, la Nonviolenza appare ancora oggi come l'unica possibilità politica davvero alternativa. Capitini, addirittura, non ha mai considerato la morte fisica come un limite definitivo e l'attenzione posta al ruolo dei "morti" nel presente delle battaglie epocali, come sviluppo ulteriore e sempre possibile non dello sterile ricordo ma della ripetizione dell'impegno sociale, ha contribuito in qualche modo, politicamente, a "superare" davvero ogni limite, ogni termine, riconoscendo il ruolo attuale, presente e vivo, anche dei "quasi morti" (gli esclusi, gli emarginati, gli inutili). Un fiume carsico, nascosto e spesso mal compreso, che periodicamente riaffiora.

Il fiotto salutare che scardina la sintesi logica indifferente alle sorti degli uomini in carne e ossa. L'inevitabilità storica, l'accettazione del reale, l'inazione di fronte alla violenza del potere che si afferma - anche del potere Sovrano - dispensa, infatti, l'individuo dal compito di vivere fino in fondo la propria vita, lo deresponsabilizza, sottraendolo dall'aggancio alla Comunità - non solo dei presenti - a un retaggio di saggezza e di esempio che sprona l'individuo ad aggiungere il proprio contributo, a raccogliere il testimone, a contribuire nella prassi feconda con una specifica "aggiunta" che arricchisce di senso il flusso del cambiamento nella Società.

Contro il rischio dell'inerzia etico-pratica, Marco Pannella, come Aldo Capitini del resto, ha investito tutta la propria storia personale, riuscendo a far coincidere in uno sviluppo riuscito il riferimento valoriale con l'attuazione contingente, con il compito storico individuale. Se ciò che è, se ciò che si afferma non è da considerare per ciò solo, sacro; se ciò che accade per il fatto che si realizza (magari nella violenza) non è per questo più "necessario" e migliore del "possibile" e dell'"altro" per cui lottare, ciò significa che - nella contingenza - è sempre più aperto lo spazio per una vita attiva, per una prassi che conta più delle rigide acquisizioni teoretiche, e che significa dialogo, confronto, arbitrato mediazione tra diversi.

Solo così procedendo si può riscoprire quell'unità di approcci che passa per l'autoriconoscimento nell'altro (anche nel nemico), come in uno specchio che ci svela il contributo vitale di tutti - nessuno escluso - e che è il movimento definitivo verso la rivoluzione nonviolenta: quella dell'identità sottoposta alla critica dell'amore.