Spes contra Spem. Non accettare la morte, nemmeno della democrazia e dello stato di diritto
Diritto e libertà
La morte è una realtà insufficiente e per questo non eterna. Credere in questo – volere credere - significa "aprire" la realtà a una profondità più vasta, nel tempo e oltre il tempo, attraverso la prassi della vicinanza, del perdono, della promessa che impegna per gli altri e che salva il mondo. Il destino comune e le comuni gioie e sofferenze ci svelano l’unione intima tra tutti, l'afflato religioso della comunità, di un “Tu-Tutti” per cui la Persona è molto di più del suo passato, dei fatti che la incatenano senza speranza, senza un futuro di riscatto. Dismettere l'apprensione per la propria fine individuale - nella pratica "senza paracadute" ma necessaria del "fare il bene" - significa propriamente questo: con la nascita siamo entrati, come “aggiunta” unica, nella compresenza di tutti, dei morti e dei viventi. È questa la comunità dei santi che sono (che siamo, nessuno escluso) i tutti "crocifissi" del mondo, i sofferenti, i dimezzati, gli esclusi. Con ciò, la speranza - nell'azione - per la futura realtà liberata (che oggi si rende viva) è anche speranza politica e civile per una società equa, rigetto di ogni conservatorismo interessato, dello sterile nazionalismo che divide.
È la battaglia per la riforma di ciò che esiste, attraverso il "possibile" che si realizza sulle nostre gambe, con l'impegno che non si arrende al nichilismo e all'indifferenza. Da questo approccio, religioso e laico allo stesso tempo, Aldo Capitini e, dopo di lui, Marco Pannella, hanno fondato la loro peculiare fede, l'approccio liberalsocialista della nonviolenza e della non collaborazione al male di Stato. Obiezione di coscienza, disobbedienza civile, superamento dei partiti/chiese, preparazione della legge nuova attraverso la contestazione della norma/normalità superata dall'evoluzione sociale, significa - come pure aveva inteso Hannah Arendt - dare respiro attuale, nuova scaturigine, ad una tradizione carsica ma viva del processo di democratizzazione moderno; la tradizione, appunto, che sconfessa l'assoluto Leviatano, la cessione di libertà per una protezione dittatoriale, il "destino" di potere che inquina ogni impegno per la cosa pubblica, la declinazione violenta di una politica intesa solo come associazione/dissociazione e dialettica amico/nemico.
Da questa fonte si rigenera costantemente lo stato di diritto, la garanzia di equilibrio che rifiuta la pena di morte, la morte per pena, l'ostatività automatica e senza speranza di una condanna per sempre. Demagogia, populismo, giustizialismo, autoritarismo, militarismo, statalismo, egoismo economico sociale, sono, di contro, la sempre più affermata tradizione dominante della modernità politica anche occidentale, l'avversario epocale (il peccato e non il peccatore) di ogni sincero democratico, che fa fronte contro l'aspirazione illiberale di chi ha imparato a piegare le forme delle istituzioni e le dinamiche del voto, per giungere alle democrature e al superamento della sovranità del diritto.
Tutto questo, questa dialettica sempre emergente, dovrebbe arricchire di senso ogni strategia politica, anche italiana, chiarire i significati attuali della contrapposizione epocale destra/sinistra, spingere ad abbandonare ogni facile tentazione neo-centrista, da ago della bilancia, che non conduce ad altro che alla palude dell'immobilismo, al cedimento strutturale allo status quo dei privilegi, delle differenze, delle ghettizzazioni economiche e sociali. E questo centrismo significa, propriamente, resistenza interessata all'affermazione, da un lato, della previsione legislativa di un salario minimo legalmente determinato, resistenza all'attuazione di politiche redistributive improntate al valore della progressività dell'imposta anche attraverso lo strumento del contributo di solidarietà, all'incremento di un sano interventismo pubblico diretto a riattivare la scala sociale tra classi sempre di più sclerotizzate; dall'altro, questo centrismo estremizzato significa anche – il caso del DDL Zan è solo il penultimo in ordine di tempo, cui si debbono aggiungere le crociate contro i “referendum di coscienza" in tema di libertà di scelta e "fine vita" – l'asservimento alle esigenze valoriali delle destre e mostra schiettamente il suo “attivismo immobile" su tutti i temi bioetici, rischiando di riportarci indietro - nel caso di affermazione "governativa", nel post Draghi, di una tale impostazione - al passato delle leggi confessionalmente orientate come quelle partorite durante l'era Berlusconi in tema di obbligo all'espatrio per le coppie infertili in cerca di cure e in tema di accanimento terapeutico forzato e senza sbocchi di buon senso, come nel caso Englaro.
Sono queste le questioni dirimenti che debbono spingere aggregazioni, coalizioni larghe e spirito di unità su valori, azioni, speranze e non le trite distinzioni tra chi è più liberale o socialista dell'altro, che stanno chiudendo sul personalismo sterile e padronale il dibattito tra tanti amici riformisti e progressisti. Il rischio è sempre lo stesso, sempre incombente: dilaniarsi tra puristi e intransigenti mentre i fascisti indisturbati bussano alle porte della democrazia, pronti a sfondarle.