Con la sentenza numero 30545 la Corte di cassazione sancisce non solo la cittadinanza del concetto di identità di genere nell’ordinamento, ma ne individua i caratteri.

I giudici della Suprema Corte hanno infatti sancito che l'identità di genere corrisponde alla “percezione che ciascuna persona ha di sé come uomo o donna” e che ciò “non necessariamente corrisponde con il sesso attribuito alla nascita”. Per la Cassazione infatti, il genere “indica qualunque manifestazione esteriore di una persona, che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse all'essere uomo o donna”.

A sostegno della sentenza i giudici supremi citano la Direttiva 2011/95 UE sull'attribuzione della qualifica di rifugiato, recepita nel D.Lgs. 21 febbraio 2014, n. 18, che, per la prima volta, fa riferimento al concetto di identità di genere nella trattazione degli aspetti che possono costituire motivi di persecuzione. Gli ermellini richiamano anche il testo della Direttiva 2012/29 UE, recepita dall'Italia con D.Lgs. 15 dicembre 2015, n. 212, che prevede l'obbligo per gli Stati di proteggere le persone che subiscono violenza in quanto appartenenti ad un genere, oppure a causa della propria identità di genere, oppure a causa di motivi o finalità di odio o discriminazione fondati sul genere, identità o espressione di genere.

Ma oltre al recepimento da parte dell’ordinamento italiano di norme europee, la Cassazione fa specifico riferimento alla giurisprudenza della Corte costituzionale che, a sua volta, con la sentenza n. 221/2015, ha riconosciuto il diritto all'identità di genere quale "elemento costitutivo del diritto all'identità personale, rientrante a pieno titolo nell'ambito dei diritti fondamentali della persona", principio poi ribadito nella sentenza n. 180/2017, secondo cui va affermato come "l'aspirazione del singolo alla corrispondenza del sesso attribuitogli nei registri anagrafici, al momento della nascita, con quello soggettivamente percepito e vissuto costituisca senz'altro espressione del diritto al riconoscimento dell'identità di genere”.

L'identità di genere, quindi, come stabilito dalla sentenza della Suprema Corte, “valorizza la fluidità delle appartenenze, attribuendo importanza allo spazio di autodeterminazione individuale in una prospettiva di rifiuto degli stereotipi e, quindi, di coesistenza con il concetto di "sesso", che, invece, mette in risalto la dimensione biologica”.