Calcio, salute e diritto. La cosa peggiore è l'ambiguità del Governo
Diritto e libertà
Credo il punto critico sia questo: l’Autorità sanitaria di Napoli, a quadro normativo vigente, ha emesso un legittimo provvedimento. In sede privatistica, la Lega ha redatto quello che è, propriamente, un Regolamento (con soglie numeriche di contaminati e di non contaminati per squadra, al fine di autorizzare una partita; recupero di singoli calciatori nelle 48 ore prima di una partita -previo tampone negativo- anche, nei singoli casi, come una “parentesi” fra una quarantena domiciliare che precede e segue la partita stessa, e cosí via). Peraltro, modificato pochi giorni fa.
Questo Regolamento, però, fa salvi, ovviamente, i provvedimenti della Pubblica Autorità competente (Regioni, ecc). Una volta che l’AUSL di Napoli ha provveduto, non c’era partita, letteralmente. Invocare il Protocollo Lega, come ha fatto la Juventus, era ed è infondato.
A questo punto, credo il Governo non dovrebbe tecnicamente redigere un’interpretazione autentica del Protocollo (peraltro, non è un suo atto): dovrebbe semplicemente riaffermare, la prevalenza, in punto di principio, della pubblica Autorità sanitaria, sul Protocollo stesso: peraltro, sulla base testuale della clausola derogatoria generale ivi prevista e concordata.
E dovrebbe farlo magari in modo meno atecnico e impressionistico di come ha fatto fin qui il Ministro Speranza, più o meno: “contano più le scuole del calcio” (e si potrebbe in astratto convenire, sebbene l’emotivismo implicato non si addica nè al ruolo, nè alla complessità dell’universo calcistico, che non si presta ad una sua riduzione a capriccio). Vale a dire, si dovrebbe esporre in sede politica, senza ovviamente agire al posto delle regioni; cioè, dovrebbe manifestare il suo indirizzo politico. Che sarebbe il suo mestiere.
Ed ecco il punto critico. La “rete” dei presupposti normativi è tale che se, come si dovrebbe, venisse riaffermata, “in generale”, la superiore competenza amministrativa della Autorità Sanitaria, e secondo i criteri già seguiti a Napoli, in nulla ulteriori rispetto ai criteri sanitari della “rete” normativa vigente, la stessa disputablità del campionato, e lo si è rilevato diffusamente, sarebbe presocchè impossibile (dato che verrebbe “abbattuta” la soglia minima dei dieci giocatori infetti per giustificare il rinvio di un incontro).
Notoriamente, il calcio è attività socialmente sensibile: quindi, anche politicamente. La mancanza di chiarezza tecnico-politica, pare serva al Governo solo a rimanere un pò amico di tutti. Ció che fonda la critica alla sua ambiguità. In altri termini, quello che secondo me ha messo in luce questo episodio, è l’effetto “ingestibile” di misure “anticipate” di tutela rispetto alla soglia del pericolo; problema capitale.
Perché o si tiene ferma “la rete” dei presupposti normativi pubblici, più rigorosi: e allora non c’è spazio per nessun “fine tuning” del tipo di quello delineato nel Protocollo; o si affronta la questione di rivedere l’intervento per “soglie anticipate di tutela”, a loro volta, pensate sul presupposto, un pò goebblesiano, che gli italiani siano una specie di popolo di zingari e buoni a nulla.
Non si dice che sul piano del consenso, che è legittimo perseguire, sia facile; ma non si dovrebbe rinunciare a porre la questione, solo perché o si perdono i “voti calcistici” o si perdono i “voti sanitari”. Mantenersi in questa terra di nessuno, è ciò che va contestato. Ovviamente, per quel poco che vale, io sono per il “fine tuning” e non per le “soglie anticipate di tutela”. Ma rispetterei più un Governo che le rivendicasse apertamente, senza tentare di fuggire dalle conseguenze politiche che derivano dai presupposti della sua stessa “rete” normativa. Coniugando confusione di giudizio politico, ad incertezza operativa sul delicato terreno sanitario.