carcere grande

Sappiamo che la Corte europea dei diritti dell'uomo - CEDU ha deciso, in sede di Grande Camera, di confermare la sua stessa precedente condanna dello Stato Italiano, sancendo il carattere inumano e degradante del cosiddetto Ergastolo Ostativo. Notizia eccellente, come si è già commentato negli scorsi giorni. Tuttavia, il quadro è più complesso.

E non perché il Ministro della Giustizia in carica, Bonafede, ha annunciato: “Faremo valere in tutte le sedi le ragioni del governo italiano e le ragioni di una scelta che lo stato ha fatto tanti anni fa...”. O non solo per questo. Sono parole arroganti, certo, ma annunciate. Come annunciate sono quelle di vari alti magistrati, o ex alti magistrati: Piero Grasso, Gian Carlo Caselli, Nino Di Matteo, Federico Cafiero De Raho, Sebastiano Ardita, Luca Tescaroli che hanno, con analoga cupezza, riproposto il loro breviario apocalittico. Sono le richieste del “Papello” (anche se si tratta di un falso accertato). Da domani, tutti fuori. E così via.

La pena, ha scritto la Corte, deve essere “riducibile”: cioè, si deve poter vedere la luce in fondo al tunnel. Soprattutto, “il pentimento”, non può essere considerato via esclusiva di conseguita rieducazione. E non c’è altro, mia cara Italia. Tutto chiaro. E giusto. Le ragioni della complicazione stanno altrove. Perchè l’Ergastolo Ostativo è anello di una catena. La complicazione è la catena.  Si pretende l’intangibilità dell’Ergastolo Ostativo, per pretendere l’intangibilità del “pentimento” come “unica via alla salvazione”; e questa si pretende, per pretendere l’intangibilità di un intero Sistema di Potere. Questa catena, però, ha un anello debole: inavvertitamente, lo ha indicato lo stesso Ministro, con quel suo “tanti anni fa”. L’Ergastolo Ostativo, si dice, lo ha voluto Giovanni FalconeSi parva licet, come i Crociati invocavano il Vangelo, così il Sistema e il suo Speaker invocano Falcone. Vediamo.

Nel 1991 furono istituite 26 Procure Distrettuali Antimafia, e una Procura Nazionale. Accanto, e sottoposte, speciali unità investigative: le DIA. Quando si dice che le volle Falcone, si dice una cosa a metà, ad essere generosi. Egli, infatti, avrebbe voluto una Procura Nazionale “operativa”, e le distrettuali “serventi”; e non un Ufficio, sostanzialmente, di semplice coordinamento. Questo perché era consapevole del carattere eccezionale dell’istituto e, quindi, della sua necessaria temporaneità.

Il disegno di legge che questo assetto prevedeva, confluito nel D.L. 367/1991, in sede di conversione subì questa decisiva imposizione. Ne venne, pertanto, un accomodamento ambiguo. Proprio perché lo svilimento della Procura Nazionale ha permesso di scolorire il carattere temporaneo del Sistema Antimafia. Non solo lo voleva temporaneo, ma anche accusatorio: Falcone aveva iscritto il “suo” sistema nel più ampio campo della separazione delle carriere, e della sottopozione del Pubblico Ministero a forme più adeguate di controllo: “finora reso praticamente irresponsabile da una visione feticistica della obbligatorietà dell’azione penale e dalla mancanza di efficaci controlli della sua attività.” Per questo disegno, fu considerato, letteralmente, poco meno che un delinquente. Ecco l’anello debole di una catena che si vorrebbe intangibile: l’impronunciabile, l’indicibile, è il carattere temporaneo del Sistema Normativo Antimafia: ordinamentale e processuale. Per questo, il ricorso all’autorità di Falcone è un boomerang.

La CEDU, colpendo questo punto della catena, ha svelato la sua debolezza. Se si può negare che “il pentimento” sia l’unica via per comprovare l’avvenuta rieducazione del condannato, ciò significa che l’invocata “eccezionalità di sistema” (a Strasburgo non capiscono niente di mafia) non esiste più: ma, se non esiste per un anello, l’intera catena è destina a sfaldarsi. Con la CEDU, che già aveva pronunciato la Sentenza-Contrada, il Sistema di Potere ha perciò un conto aperto. Il quale Sistema, nel corso degli ultimi venticinque anni, ha agito per riconfigurare l’Emergenza, e conferirle la maiuscola. Se c’è ancora un Nemico Pubblico, occorre l’Apparato. La riconfigurazione ha avuto luogo espandendo “il fenomeno mafioso” e sempre più ignorando “il reato mafioso”.

Torniamo a Falcone, e misuriamo le distanze. Di “fenomeni” (“fatto sociologico”, in sue parole) non voleva proprio sentirne. Cercava reati. Il 15 Ottobre di quello stesso 1991, innanzi al CSM per discolparsi dalla famigerate accuse sui “cassetti chiusi”, tra l’altro aveva spiegato: “Comunque sia chiaro: io non faccio parte di quella categoria di persone che sostengono che la mafia è un fatto economico e sociale”, “...a meno che non si voglia sostenere che, se gli omicidi raggiungono il livello delle centinaia, non sono più un fatto penale, ma un fatto sociologico; sono anche un fatto sociologico, ma sono soprattutto, e prima di tutto, un fatto penale”.

Il carattere eccezionale dell’Istituzione, veniva così ulteriormente precisato: intimamente connettendolo al carattere eccezionale della violenza alle persone, della capacità parabellica implicata. Durava questa, durava quella; cessata questa, cessata quella. Gli omicidi, erano il paradigma essenziale per misurare la pericolosità di Cosa Nostra; entro questa cornice di violenza esplicata, gli interessi economici perseguiti ricevevano una carica criminale, non viceversa (“non...un fatto economico e sociale...sono anche un fatto sociologico, ma sono soprattutto, e prima di tutto, un fatto penale”). Tutto: istituti probatori (collaborazioni), ordinamentali (DIA, DDA, e DNA), penitenziari (Ergastolo Ostativo, non il 41 bis, che era già semestrale), stavano dove “gli omicidi raggiungono il livello delle centinaia”.  Perciò, Falcone, con il Sistema che è venuto dopo, non c’entra un bel niente.

Il prossimo giorno 22, anche la Corte Costituzionale dovrà pronunciarsi sull’Ergastolo Ostativo: non è chiaro cosa si può intendere con quel “tutte le sedi” evocato da Bonafede: ma, in ogni caso, il clima è guasto. Quell’annuncio, è liminare ad una condotta sovversiva, misurata, come si deve, sul piano della legittimità normativa europea.

Occorre vigilare. Nessun progresso, lungo la via della Libertà, potrà davvero essere intrapreso, se non si comincia a contestare, punto per punto, parola per parola, questa mitopoiesi intimidatrice, questa idea dell’Italia fuori del tempo, immobile, in cui stragi o chiacchiere, capi, eserciti criminali efferati e comunissimi balordi, sono sussunti in un’unica, sobillatrice e avvelenatrice menzogna.