Dopo la legalizzazione, in Colorado non sono aumentati i consumatori, né i danni connessi al consumo. È cresciuto il reddito legale e il gettito per lo Stato. In Italia, anche la Direzione Nazionale Antimafia denuncia il fallimento dell'azione repressiva.

dellavedova grande

Per lungo tempo, quanti criticavano un approccio indiscriminatamente proibizionista alle politiche sulla droga e proponevano l'alternativa della regolamentazione legale sono stati accusati di rompere quella sorta di fronte della fermezza, che avrebbe dovuto salvare la società dall'autodistruzione "chimica". Era (ed è) vero il contrario. La proibizione, istituendo un paradossale incentivo economico al mercato delle sostanze proibite, ne ha consentito l'industrializzazione criminale, con una crescente concentrazione di poteri e di profitti destinati a riversarsi nella società e nell'economia legale.

Il mercato della droga, per come oggi lo conosciamo, è un prodotto delle politiche anti-droga, cioè della rendita criminale assicurata dalle leggi proibizioniste. Quanti si sono applicati con rigore scientifico all'analisi dell'economia delle droghe – si pensi a due Premi Nobel molto distanti nelle premesse teoriche e nell'inclinazione politica, come Milton Friedman e Lester Thurow – hanno generalmente concluso che l'eterogenesi dei fini della politica proibizionista è implicita nei suoi presupposti ed esplicita nei suoi esiti e che per mutare i secondi occorre, necessariamente, intervenire sui primi.

In una discussione astrattamente barricata sul piano dei principi, non era possibile mettere scientificamente in discussione sul piano dei fatti i risultati fallimentari di convenzioni internazionali e legislazioni nazionali sempre più duramente orientate a reprimere la diffusione e a punire il consumo di droghe (formalmente) proibite, ma (sostanzialmente) disponibili a chiunque disponga dei quattrini per acquistarle.

D'altra parte, occorre ammettere che anche l'approccio anti-proibizionista non può essere declinato in modo indiscriminato, a prescindere dalla natura delle sostanze e dai loro effetti e dal funzionamento dei relativi mercati. Oggi il mercato della droga è letteralmente polverizzato in una miriade di organizzazioni e di molecole difficilmente aggredibili con un'unica soluzione globale.

Nel caso delle cosiddette "droghe leggere", cioè dei derivati della cannabis, l'opzione legalizzatrice è giunta però a un modello affidabile e sperimentato e la sua dimostrabile efficacia pratica ha cambiato anche il registro della discussione politico-culturale su questi temi. In Colorado, il primo degli stati Usa ad avere legalizzato e controllato per via fiscale il mercato della marijuana per uso ricreativo, non sono aumentati i consumatori, né i danni direttamente o indirettamente connessi al consumo. A crescere è stato solo il reddito e il gettito del mercato legalizzato. Questa tendenza è destinata a consolidarsi e a espandersi ad altri stati – si sono nel frattempo aggiunti Washington, Alaska, Oregon e District of Columbia – e la Presidenza Obama non sembra minimamente intenzionata ad avversarla con interventi sul piano federale.

Per le sostanze il cui consumo è non solo più diffuso, ma socialmente più compatibile, la legalizzazione appare oggi l'opzione più efficiente e coerente con l'obiettivo di spezzare l'integrazione criminale del mercato delle droghe. Si separano i mercati e si allontanano i "clienti" dalle sostanze più nocive. Legalizzare la marijuana oggi non è (solo) più una buona idea. È un ottimo esempio di governo.

Qualche giorno fa a sostenere questa stessa tesi è stata, in Italia, la Direzione Nazionale Antimafia, denunciando nella sua relazione annuale "il totale fallimento dell'azione repressiva" sulle droghe leggere e proponendo la via della depenalizzazione, per deflazionare il carico giudiziario, orientare in modo più efficace l'azione repressiva e ridurre i profitti delle organizzazioni mafiose. Una proposta accolta da un rigoroso e imbarazzato silenzio.

Vent'anni fa mi feci arrestare (poi processare e condannare) durante una dimostrazione politica con altri dirigenti radicali per denunciare a quale livello di follia fosse giunta una legislazione che mandava in galera chiunque si passasse uno spinello. Era accaduto, pochi giorni prima, ad alcuni ragazzi in vacanza sulla riviera romagnola. A distanza di vent'anni posso sperare che anche questo muro oggi possa cadere, come quello dell'articolo 18, che, sempre vent'anni fa, tentavo con non molti altri di scalfire nel suo contenuto pratico e simbolico.

D'altra parte, penso che l'Occidente minacciato dalla violenza fanatica sia oggi, proprio per questa ragione, chiamato a ripensare, sulla base dei propri valori costitutivi, quali la libertà e la responsabilità individuale, anche la gestione dei fenomeni socialmente più complessi e drammatici.

@bendellavedova