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Molti notano una correlazione tra la diffusione di bufale e 'post verità' su argomenti politici, economici, scientifici, e l'uso di internet e dei social media. Come tuttavia questi due aspetti interagiscano sembra ancora oscuro. Un modo interessante per affrontare la questione - da verificare - potrebbe consistere nell'esaminare gli incentivi individuali alla diffusione di falsità propagandistiche, che emergono alla luce dei concetti 'popperiani' di società aperta e chiusa. Si tratta ovviamente di situazioni astratte, ma che proprio perché tali possono fornire una scala di riferimento per valutare le situazioni reali.

La diffusione di credenze pseudo o antiscientifiche, esoteriche, complottiste, in breve, di bufale, sembra un tratto tipico delle società chiuse. Come ad esempio, le tribù: comunità in cui la gestione del potere e i comportamenti di ciascun appartenente si fondano su complicate dottrine e prescrizioni indiscutibili, affermate attraverso ogni mezzo di propaganda e suggestione psicologica. In simili contesti, si osserva l'emergere di incentivi economici per gli individui a collaborare spontaneamente nella diffusione della propaganda dominante. L'adesione pubblica alle istanze dominanti e la denuncia dei potenziali dissidenti viene infatti, di solito, remunerata con un rafforzamento della posizione personale nel gruppo, in un contesto dove sempre più tutti si controllano a vicenda. Viceversa, diventa sempre più pericoloso e costoso dissentire e manifestare pubblicamente le proprie idee non conformi ai dogmi della tribù.

La rule of law e i check and balances istituzionali su cui si fondano le società aperte e plurali disinnescano questo perverso sistema di incentivi in cui propaganda e 'tribalizzazione' si rafforzano a vicenda. Non lo fanno imponendo per legge il dibattito scientifico, ma adottando regole che ostacolano la concentrazione del potere e ne limitano l'uso, e dunque consentono il dibattito pubblico e la libera indagine in qualsiasi materia. Ma è interessante rilevare che l'eliminazione dal dibattito pubblico di idee e informazioni false non è la conseguenza di politiche pianificate da parte di qualche élite illuminata ma il salutare effetto spontaneo e non intenzionale dell'applicazione di 'tecniche' di contenimento del potere.

Sui social network si creano spesso dinamiche che portano gli utenti ad aggregarsi in 'communities' con caratteristiche tribali, che derivano, si direbbe, dal funzionamento stesso di queste piattaforme. Sono noti, ad esempio - anche se non se ne conosce il funzionamento - gli algoritmi che consentono ai gestori delle piattaforme di mostrare a ogni utente solo i contenuti 'più adatti' al suo profilo, o gli strumenti di 'voto' che permettono l'aggregazione del consenso sui social, come i like di Facebook o i 'preferiti' e i retweet di Twitter.

In questi ambienti, per gli individui appartenenti a una rete la reputazione di fronte al proprio gruppo tende spesso a diventare vitale, a prescindere dalla matrice ideologica o dalle affinità che innescano l'aggregazione. Chiunque utilizzi i social per esprimere le proprie opinioni ha probabilmente sperimentato almeno un po' la pressione psicologica connessa ad attacchi o contestazioni pubbliche alle proprie esternazioni e l'esigenza frenetica di difendersi. O, per contro, il senso di appagamento psicologico connesso alla ricezione di riscontri positivi. A furia di like, retweet e share, a altre simili monete per remunerare la reputazione, le piattaforme incentivano insomma gli utenti a polarizzarsi in fazioni, rendendo trascurabile l'utilità di distinguere tra informazioni e affermazioni vere o false. Riemergono così in versione virtuale gli incentivi a diffondere informazioni false per rafforzare la propria posizione nella tribù, e ad aggredire ed espellere con la violenza - hate speech, insulti collettivi ecc. - chi non è d'accordo.

E' forse per queste dinamiche che i social media diventano anche terreno fertile per la diffusione di bufale, teorie del complotto e via dicendo. Miti, bufale e propaganda esistono da sempre, anche se nel dibattito pubblico reale la capacità di attecchire è limitata. L'era della socializzazione istantanea online sembra aver risvegliato un po' in tutti quanti il più primitivo istinto tribale.

@leopoldopapi