Statualità e fenomeni migratori. Due facce della stessa medaglia
Istituzioni ed economia
Prendi un gruppo di persone in un perimetro territoriale, assegna loro un diritto di cittadinanza e avrai uno Stato. Per sgombrare il campo dai dubbi: niente di metafisico. Non uno Stato 'hegeliano', ente storicizzato collettivo superiore alla semplice somma degli indivdui che lo compongono. Più in pratica: si tratterà di un'organizzazione sociale che richiede decisioni collettive per esistere, accettate come legittime da tutti. Tali decisioni collettive sono la conseguenza del fatto che viviamo in un mondo mutevole, fatto di problemi imprevedibili e di risorse scarse: saranno imposte dai fattori concreti e inaspettati, per esempio di natura economica o ambientale, come una catastrofe naturale.
Quando si affronta il tema dei flussi migratori si tende a eludere il tema della statualità, che tuttavia ne rappresenta forse un aspetto cruciale. Vi sono teorie ultraliberali che sostengono l'abolizione dei confini territoriali dei paesi e anche, si presume, dei decisori pubblici che regolamentano cosa e chi li può attraversare. Nella loro visione un po' allucinata, sollevano questioni di interesse: i flussi migratori di persone da un'area all'altra del mondo sono in effetti l'altra faccia delle organizzazioni politiche territoriali. Un mondo senza Stati territoriali e senza 'scelte collettive' ma con solo flussi di uomini e donne che si spostano spontaneamente da un'area all'altra guidati dalle sole scelte e aspettative personali, sarebbe il paradiso (o forse l'inferno) di ogni libertario, ma genererebbe probabilmente contrasti e 'pressioni evolutive' che farebbero emergere nuove organizzazioni statuali.
Queste considerazioni offrono spunti interessanti per interpretare fenomeni di attualità come la forte pressione migratoria a cui è sottoposta l'Unione Europea. Il dibattito pubblico è spesso polarizzato tra coloro che sostengono la necessità di 'chiudere i confini' per tutelare la propria comunità da presunte e insostenibili invasioni e coloro che invece evocano improbabili 'doveri civici' di altruismo e la condivisione con i nuovi arrivati di risorse materiali e di affetti. Ma ciò che trasforma in un problema vitale un fenomeno economico e sociale tutto sommato abbastanza contenuto (pochi milioni rispetto a 500 milioni di europei) è che esso mette in evidenza l'assenza di una statualità europea, situazione che obbliga i singoli paesi a scegliere tra politiche che disgregano l'Unione e una maggiore integrazione.
Ciò non accade negli Stati Uniti, una federazione costruita storicamente su ondate migratorie, e pure sottoposto a problemi di integrazione di migranti, ma che tuttavia è immune (per ora) a rischi di disgregazione politica di questo tipo, causati da questo fenomeno. Negli USA, a differenza che in Europa, l'immigrazione, la politica di vicinato, sono competenze di un unico decisore, autorizzato dai cittadini ad occuparsene, magari anche sbagliando. Tuttavia le politiche sbagliate possono essere sostituite da politiche corrette e comunque sono accettabili perché codificate in istituzioni. Invece abolire o pensare di fare a meno di decisori - o anche pensare di gestire il problema attraverso più decisori concorrenti e con interessi palesemente e legittimamente in contrasto tra loro, come avviene oggi in Europa - significa passare dall'ordine politico a un caos di tensioni, paura e conflitti più o meno dichiarati.
L'alternativa a prendere decisioni collettive, equivale a smantellare e svuotare di significato l'organizzazione statuale stessa. Gestire le frontiere non significa tirare su o abbattere muri per bloccare o accogliere a braccia aperte i migranti, ma far sì che i flussi migratori di ingresso nel perimetro territoriale di uno Stato siano parte di un sistema di 'scelte pubbliche' legittimo e accettato come tale nella comunità organizzata a cui esso fa capo.
E' forse per questa ragione che, a un certo punto, senza che neanche ce ne accorgessimo abbiamo cessato di notare, ciascuno di noi, l'immigrazione degli albanesi, che pure aveva generato paura e tensioni sociali, come ricordava Massimo Cirri in un bell'articolo sul Post. L'Albania si è risollevata dalla condizione di stato fallito, è diventato un vicino politico e giuridico credibile (candidato ad entrare nell'Ue), ed ha cessato di essere un pauroso flusso indeterminato di persone senza volto. È diventata una comunità di individui con cui imbastire relazioni, pubbliche, economiche, e personali. Finché non ci trasferiremo tutti nel territorio illimitato e immateriale della realtà virtuale, gli Stati, e le politiche di frontiera, vicinato e di gestione delle relazioni internazionali saranno, purtroppo, o forse per fortuna, ancora il male minore che crea le condizioni della convivenza.