Wanderer

Sembrerà paradossale, ma sono giunto alla conclusione che, almeno in Italia, dovremmo smettere di utilizzare il termine ‘liberale’ per identificare quel filone culturale che ha, tra i suoi padri spirituali, i libri e gli scritti di Smith, Hayek ed Einaudi.

La prima ragione consiste nel fatto che oggi il termine ‘liberale’ non identifica più un univoco modello interpretativo della realtà. Prendiamo il problema dell’immigrazione: troviamo ‘liberali’ che la vorrebbero impedire tout court, altri che desidererebbero regolamentarla in modo più o meno rigido e, infine, alcuni che, come me, condividono il motto ‘libertà di circolazione di capitali, di merci e di persone'.

Badate bene, una ‘vera’ posizione liberale, su questo tema come su molti altri, non esiste: ciascun interlocutore ha la propria, la difende strenuamente e rivendica che l’interpretazione più autentica sia proprio la sua. Se questo è vero, allora parlare di pensiero ‘liberale’ è assolutamente inutile.

Il secondo motivo, strettamente derivato dal primo, è un problema di compagni di viaggio: se un liberale può sostenere qualsiasi posizione, allora tutti possono dirsi liberali. E quindi dobbiamo accettare che Matteo Salvini, tra una ruspa e un elogio a Putin, professi di essere il nuovo faro del pensiero liberale in Italia. Dopotutto, se per vent’anni si è accettato che lo fosse Berlusconi…

La terza è una questione più strettamente culturale e politica. A forza di allargare le maglie del pensiero liberale per farci rientrare tutti, abbiamo dato ai nemici della società aperta armi potentissime per demonizzare il liberalismo. Se ci fate caso, per ogni problema che affligge la nostra società, salta sempre fuori una qualche interpretazione che riesce ad assegnarne la responsabilità al ‘pensiero unico neoliberale/neoliberista’.

Fa troppo caldo? È colpa del neoliberismo. Fa freddo? La causa è il liberalismo sfrenato senza regole. Il clima è ottimale? Oggi ci è andata bene, nonostante i disastri del liberismo thatcheriano. C’è persino chi, per reazione, si è divertito a raccogliere tutti questi j’accuse in una pagina satirica di Facebook e in una rubrica sul Foglio. Sono (quasi) sempre interpretazioni frutto di forzature estreme (citazioni fuori contesto, manipolazioni, cattive traduzioni) e senza un briciolo di logica che però, per moltissime persone, risultano credibili. Perché?

Il motivo è che la Rete, parafrasando Eco, ha elevato a maîtres à penser del Liberalismo vere e proprie “legioni di imbecilli”, per cui non è difficile trovare sui Social Network conferme delle accuse lanciate dai nemici della società aperta.

E allora chi, come me, è a favore della libertà di circolazione di capitali, merci e persone, chi è convinto che il mercato non sia perfetto ma che tuttavia non conosciamo un sistema migliore, chi ritiene che il ruolo dello Stato in economia non sia fare l’imprenditore ma costruire un ambiente favorevole alla crescita e definire (poche) regole, certe e generali, chi crede che sia giusto costituire una rete di salvataggio per chi è in difficoltà, ma è consapevole che sia solo un palliativo temporaneo che rischia di creare dipendenza, chi pensa che il modo migliore per sconfiggere la povertà non sia la redistribuzione della ricchezza ma una società aperta che permette a chi ha volontà e fortuna di autorealizzarsi, chi, insomma, ha a cuore i valori che hanno ispirato Adam Smith, John Stuart Mill, Friedrich Hayek, Einaudi e tanti altri oggi non può più definirsi liberale, ma deve trovare un altro nome. Idee?