Partendo da un articolo di Benedetto Della Vedova, apriamo una riflessione a più voci sulla paradossale impoliticità della proposta politica liberale in Italia. Critiche, autocritiche, analisi e impegni di autori diversi, più o meno interessati e partecipi alle sorti della "causa".

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È difficile essere liberali in Italia, anche se di liberali ce ne sono molti, e ce ne sono sempre stati: dopotutto, a voler ricordare Ricossa - che lo diceva per i borghesi, ma insomma, i due tipi si assomigliano - il liberalismo più che un insieme di idee, è un tratto del carattere, ed è difficile quindi sopprimerlo, anche nel più feroce dei regimi. Inoltre, non c'è bisogno di aver letto Hume, Mises o Hayek per amare la libertà individuale, avere spirito di avventura e iniziativa, essere pronti a rischiare in proprio senza cercare scorciatoie o privilegi, o badare alle proprie responsabilità non perché si temono le sanzioni morali di una qualche ideologia o dottrina religiosa, ma perché si è consapevoli delle conseguenze delle proprie azioni.

Tuttavia, in Italia più che altrove, lo 'stile di vita' liberale si scontra con un ambiente poco amico della libera intraprendenza degli individui. Anche i più qualificati eredi di Einaudi o Bruni Leoni, non possono sottrarsi, col passare del tempo, all'urgenza di dare un senso concreto al loro destino personale, e valutare se accettare qualche compromesso imposto dal contesto del Paese. È forse questa una delle ragioni del vuoto di progettualità politica descritto da Benedetto Della Vedova. E anche del fatto che, come sostiene Simona Bonfante, i liberali finiscono per confinarsi così spesso in una cerchia elitaria di 'illuministi', i cui salotti oggi si sono trasferiti sulle pagine di Facebook o Twitter.

Più nel merito, con qualche semplificazione. Ciò che rende il contesto italiano ostile alla libertà, e dunque anche ad un progetto politico 'liberale', non sono le 'ideologie' o le cattive abitudini culturali. Piuttosto, se ne trovano le ragioni nella patologica fragilità delle istituzioni, nell'ambiguità astratta delle leggi, e nella discrezionalità dei centri decisionali. L'Italia è "una repubblica fondata sull'arbitrio", priva di poteri incisivi e limitati efficacemente dallo stato di diritto, e dominata invece da una penosa confusione di fazioni e categorie di interessi particolari di ogni tipo, ciascuno votato fino alla morte a conservare i propri privilegi. Ciascuno troppo debole per prevalere sugli altri, ma abbastanza forte da impedire una evoluzione istituzionale (le famose 'riforme') verso un sistema imparziale, capace di 'generare libertà' e opportunità individuali. Più che di vuoto politico, nel panorama italiano bisognerebbe parlare di una frustrante assenza di spazio per l'affermazione di idee liberali.

La politica e i partiti italiani da sempre hanno svolto la funzione di elaborare sintesi tra i vari feudi clientelari, corporativi, sindacali, giurisdizionali (si pensi alla magistratura) adattando di volta in volta il loro menu ideologico alle opportunità di aggregazione di consenso offerte dal contesto istituzionale, per conservare quanto più possibile lo status quo: accadeva nelle spartizioni della prima repubblica, ma anche nei vent'anni di cosiddetto 'bipolarismo', in cui si è consumato lo scontro tra Berlusconi e un radicato sistema di potere e consenso 'a sinistra'. In queste circostanze, le opzioni possibili per un liberale interessato all'attività politica, sono sempre state poche: il confluire nell'iniziativa 'meno illiberale', sperando di avere opportunità di ottenere qualche risultato concreto - salvo poi incappare in scottanti delusioni, vedi gli orfani della rivoluzione liberale berlusconiana - oppure dedicarsi a cercare di colmare il vuoto elaborando fantasiose architetture di coordinamento tra 'galassie' e 'arcipelaghi' di movimenti e associazioni.

Non sorprende che il calcolo razionale (a cui i liberali autentici non possono sottrarsi) e la scarsità di tempo personale, abbiano indotto molti a dedicarsi ad altro: attività intellettuale, fare impresa, andarsene. La speranza è che qualche liberale autentico, dotato di carisma, credibilità e leadership, sia un po' meno scettico e abbastanza idealista da lanciarsi nell'impresa di vincere la diffidenza dei suoi simili, e riesca ad aggregare il loro consenso in un progetto capace di trovare il suo spazio nel paese della politica clientelare. Non è impossibile: una volta è accaduto, ma è finita molto male.