Piero Angela grande

La morte di Piero Angela lascia un vuoto che sarà difficile colmare di questi tempi. Difficile come il paese invocato nelle sue ultime parole di commiato: «Carissimi tutti, penso di aver fatto la mia parte. Cercate di fare anche voi la vostra per questo nostro difficile paese».

Piero Angela è stato un grande divulgatore scientifico, capace di spiegare in parole semplici temi complessi, avvicinando la società italiana alla scienza e al metodo scientifico. Un campione di razionalità divenuto assurdamente controcorrente in una comunità via via infettata dal virus del magismo.

Il realismo magico è un nobile genere letterario e pittorico. Non ha nulla di nobile, invece, la componente magica che è riuscita ad impadronirsi della società e della politica italiana: novax, complottismo, sentimenti antiscientifici, disinformazione, in un filo rosso che politicamente passa per la richiesta di impeachment di Mattarella e porta dritti all’internazionale sfascista di Steve Bannon, Donald Trump, Victor Orban, Jair Bolsonaro e soci.

Esemplare dell’approccio di Piero Angela è un libro pubblicato da Mondadori nel 2012 col titolo “A cosa serve la politica”: un’analisi di stampo scientifico sulle ragioni per cui in Italia la politica sia una pianta che non genera frutti.

Il libro - che ogni insegnante dovrebbe raccomandare ai propri alunni, ancorché si parli pure di merito nel campo della docenza - analizza i fattori che determinano il progresso umano e quello delle singole comunità trattando di crescita economica, rapporto con l’ambiente, merito, scuola, alfabetizzazione, cultura, ricerca, disoccupazione, fuga di cervelli, gerontocrazia universitaria, scarsa attrattività dell’Italia per i ricercatori stranieri, scarso legame fra mondo del lavoro e scuola, rapporto fra pubblico e privato, debito pubblico, evasione fiscale, vantaggi della conoscenza e costo dell’ignoranza, ruolo della televisione (e opportunità di privatizzare almeno due delle tre reti Rai), mutamenti nella distribuzione della popolazione mondiale, crisi demografica che affligge l’Occidente.

Tutto ciò senza mai parlare direttamente di politica e lasciandone sullo sfondo il ruolo di semplice acceleratore dei processi, in un chiaro appello al senso individuale di responsabilità. Per Piero Angela c’è infatti troppa attesa che sia la politica a risolvere i problemi, ad affrontare le sfide del nostro tempo. L’Italia è infatti vittima di una «distorsione visiva, alla quale contribuiscono in buona parte la cultura e l’informazione, che lascia in ombra (e spesso al buio) i veri motori del cambiamento e dello sviluppo».

Certo, non nega Angela, «la politica potrebbe fare molto, ma nel nostro paese è diventata un sistema a circuito chiuso, dove rimangono imbrigliati anche i suoi uomini migliori». Incredibile, per Piero Angela, che una società «che vuole essere moderna e competitiva, cioè basata sulla conoscenza (proprio per riuscire a creare più ricchezza per i suoi cittadini), abbia in realtà una ricerca umiliata, un’educazione che nei test internazionali risulta nelle posizioni di coda, un merito negato, un’assenza disperante di cultura scientifica, dei valori calpestati, una corruzione diffusa, un’assenza di piano energetico degno di questo nome, delle università considerate tra le ultime nelle classifiche internazionali, pochissimo sostegno all’innovazione creativa e all’eccellenza, una cultura e un’informazione che non parlano quasi mai del ruolo profondo e ‘filosofico’ della tecnologia, ma solo delle sue meraviglie o dei suoi guasti (che sono spesso proprio il frutto di un’incapacità di capirlo e gestirlo)» (pp. 13 e 14).

Efficacissime le pagine dedicate al progresso e al rapporto con le visioni più retrograde che ammorbano oggi la nostra società. Esemplare, in particolare, il passaggio sulla chimica, in cui si spiega come la questione di fondo consista nel governo del progresso e non nel suo rifiuto.

«La chimica viene spesso vista, rozzamente, come una nemica dell’umanità: in realtà noi siamo circondati dalla chimica, che entra praticamente ovunque: nei farmaci, negli abiti, nell’edilizia, nelle automobili, nella carta, negli inchiostri, nelle vernici, nei carburanti, negli elettrodomestici, nelle piastrelle, nei materiali isolanti, nelle apparecchiature chirurgiche, nei colori, nei mobili, nelle protesi dentarie ecc. Senza contare gli oggetti in plastica, che sono ormai dappertutto. Tutte cose che ci fanno stare meglio, che ci curano, che ci permettono di viaggiare, di leggere, e di stampare a bassissimo prezzo gli oggetti che una volta dovevano costruire utilizzando le materie prime come il legno, il ferro, il rame ecc. È evidente che a fronte di tutti questi vantaggi ci sono effetti negativi: il problema è di contrastarli, non di uccidere la chimica» (p. 30).

Più in generale «è evidente che ogni sviluppo economico porta inevitabilmente con sé dei guasti e degli effetti collaterali indesiderati, ma dipende proprio dallo sviluppo dell’ecosistema politico-tecnologico-educativo-culturale la capacità di minimizzare questi effetti indesiderati. (…) Il fatto è che una società avanzata deve essere in grado di produrre gli antidoti ai propri veleni. E avere una classe politica capace di farlo» (p. 31).

Un vero campione di razionalità che non può che essere odiato da antivaccinisti e complottisti, quando Angela spiega che «lo sviluppo industriale è un ‘pacchetto’ che porta al suo interno sia conquiste che perdite, sia liberazioni che nuove dipendenze, sia progressi che danni. Ma anche la società pretecnologica era un ‘pacchetto’ con i suoi aspetti positivi e negativi: l’aria era pulita, ma si moriva giovani, non c’erano le armi di distruzione di massa, ma c’erano le pestilenze che uccidevano molto più di una bomba atomica (la peste del Manzoni del 1628 provocò la morte, a Milano, di 65 mila persone, più della bomba di Nagasaki; quella che devastò l’Europa tra il 1347 e il 1352 si calcola che uccise addirittura 25-30 milioni di abitanti)» (p. 44).

In questo senso la libertà stessa è un derivato del progresso. Pure «La liberazione femminile è un ‘sottoprodotto’ del petrolio. Perché senza tecno-energia la donna non avrebbe potuto andare a scuola, diplomarsi, laurearsi, lavorare fuori casa, rendersi indipendente, ottenere diritti un tempo impensabili, diventare chirurgo, pilota, commissario di polizia, direttore di giornale, magistrato, ministro. Anziché pelar patate e dar da mangiare alle galline» (p. 51). A fare da sfondo la diffusione della conoscenza, che deve essere protetta contro la disinformazione e l’occupazione di posti di comando da parte degli ignoranti.

«Nel mondo globalizzato la competizione è ormai aperta non solo sui prodotti, ma sulla conoscenza. E dietro tutto questo c’è l’esigenza di utilizzare al meglio le risorse umane, cioè di valorizzare il merito. Non si tratta solo di una questione etica nei confronti degli individui, ma di una operazione politica nell’interesse della collettività» (p. 143). «Mettere nel posto giusto le persone sbagliate per ottenere vantaggi di parte è uno dei più gravi ‘inquinamenti’ del nostro ecosistema, che si ripercuote ovunque e che provoca anche una perdita di fiducia da parte del pubblico nei confronti delle istituzioni e della classe politica» (p. 144).

Si racconta che vent'anni fa Piero Angela propose a Beppe Grillo una serie, dove i suoi temi ecologici avrebbero dovuto essere divulgati in maniera scientifica, ossia verificandone il fondamento. Erano i tempi dei pomodori antigelo e Grillo rifiutò.
Nell'autobiografia “Il mio lungo viaggio”, Piero Angela commentò a riguardo: «Forse temeva che la verifica scientifica avrebbe smorzato l'effetto teatrale delle sue argomentazioni».

Nonostante le bufale assurde propalate per anni, Grillo e il M5S ebbero anche il coraggio di dare del bugiardo a Piero Angela.
Era il 2006 e il magismo stava già infettando seriamente la realtà italiana. In un famoso invito ad aderire al Cicap in nome della scienza e contro la c.d. pseudoscienza, Piero Angela lanciò il seguente motto: «La razionalità è sempre stata minoritaria, ma è una battaglia che vale la pena di combattere». Una massima che oggi ha la forza di un programma di governo.