Il cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze, il vescovo e teologo argentino Marcelo Sánchez Sorondo, discute di tendenze demografiche, politiche ambientali, mercato e tecnologia alla luce dell’Enciclica Laudato si’ e del pontificato “pro-global” di Papa Francesco.

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Francesco si presentò al mondo come un Papa “venuto dalla fine del mondo”, pur enfatizzando fortemente il ruolo di capo della Chiesa universale proprio in quanto Vescovo di Roma. Tra le tante “rotture” che il suo Pontificato ha quindi inaugurato, quella demografica è probabilmente la più profonda e costitutiva del suo messaggio evangelico. Si potrebbe dire che Francesco riallinea l’immagine della Chiesa alla sua realtà presente e, ancora di più, a quella futura, sempre meno eurocentrica. Per ragionare su come i cambiamenti demografici cambino concretamente la vita e la prospettiva della Chiesa e influiscano sulla sua dottrina sociale, abbiamo fatto qualche domanda a Marcelo Sánchez Sorondo, vescovo e teologo argentino e cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, in cui molti individuano il "regista" dell'Enciclica Laudato si' e del progetto di "ecologia integrale", che unisce natura e giustizia al servizio dell'uomo.

La scelta di aprire il Giubileo in Africa da parte del Pontefice è stata simbolica, ma anche profetica. Nel 2000 l’Africa aveva gli stessi abitanti dell’Europa. Nel 2050 ne avrà il triplo. Nel giro di dieci anni, i cattolici africani sono aumentati di un quarto, superando quota 200 milioni, quasi un africano su 5. Il dinamismo dei processi di evangelizzazione in Africa è oggi superiore a quello asiatico e sudamericano e rende il ruolo della Chiesa particolarmente rilevante in un continente che, dal punto di vista civile, politico e economico, rimane tuttora il pezzo di “Terzo mondo” più problematico del pianeta.

Se c’è un continente al quale si sono dedicati i Papi, a cominciare da Giovanni Paolo II e continuando con Papa Benedetto, che vi si è recato due volte, e Papa Francesco, che è andato persino in una zona di guerra, determinandone addirittura la fine, è proprio l’Africa. D’altra parte, nella Curia abbiamo, in una delle cariche più importanti e visibili, il Cardinale Turkson, che viene dal Ghana. La Chiesa è tutta consapevole della forza e dell’importanza culturale dell’Africa, culla dell’umanità, e della ricchezza storica del continente. Il più grande Padre della Chiesa latina, Sant’Agostino, era africano. Per quanto riguarda le vocazioni, inoltre, ce ne sono tante. Non sarei così pessimista.

Papa Francesco si guarda bene dal farsi arruolare in una “guerra di civiltà” identitaria da parte delle forze populiste europee. Malgrado le critiche alle disuguaglianze economiche, noi diremmo che il pontificato di Francesco, che molti accusano di essere terzomondista, sia invece fondamentalmente “pro-global”, cioè fiducioso nei processi di integrazione internazionale (di cui il fenomeno migratorio costituisce un aspetto fondamentale) e confidente nel legame tra processi di globalizzazione politico-economica e obiettivi di emancipazione umana. È una impressione sbagliata?

No, penso che l’impressione sia buona, in quanto Papa Francesco afferma che la Chiesa non deve restare sulla difensiva, cercando di difendere ciò che ha, ma deve realizzare la sua essenza missionaria usando, fra l’altro, un’immagine molto significativa, quella di un ospedale da campo. Aggiungerei che, soprattutto in questo senso, la sua preoccupazione è l’Asia e non solo l’Africa. Infatti, il suo primo viaggio apostolico è stato in Corea e sembra che vorrebbe andare anche in Cina.


Per molti decenni la discussione sulla questione demografica sembrava centrata sul problema della sostenibilità ecologica ed economica della sovrappopolazione del pianeta. Occorre dire che oggi le visioni catastrofiste si sono dimostrate erronee e hanno sottostimato l’effetto positivo del progresso scientifico e tecnologico: mai così tanti esseri umani sono usciti in così breve tempo da una condizione di miseria e di denutrizione. Non è forse questa una dimostrazione del potenziale liberatorio del progresso scientifico e della dinamica capitalistica che ne ha guidato gli sviluppi?

Da una parte, sì. Il capitalismo è stato il grande motore dello sviluppo, però, allo stesso tempo, il capitalismo che, in gran parte, usa l’energia che viene dai combustibili fossili ha rovinato il clima, ha creato una grande disuguaglianza, non solo tra ricchi e poveri in tutte le parti del mondo, ma anche tra paesi ricchi e paesi poveri, e ha prodotto l’esclusione e l’emarginazione di molta gente, fino ad arrivare alle sue forme estreme, cioè lo sfruttamento e la schiavitù (lavoro forzato, prostituzione, vendita di organi). Il messaggio del Papa è quindi di mettere al centro la persona umana e il bene comune, e la giustizia, che è la virtù dei popoli. Giustizia non solo all’interno dei paesi ma, soprattutto, all’interno delle nazioni. Se, nei paesi di origine cristiana, c’è un certo tipo di giustizia, quando guardiamo il mondo in senso globale conta solo la legge del più forte.


“Nutrire il pianeta” (per mutuare il titolo di Expo) è una delle principali sfide del futuro. Ma è un tema che ripropone la questione del rapporto politico con il progresso scientifico, anche sul fronte agricolo e ambientale. Nelle conclusioni di un workshop del 2010 della Pontificia Accademia delle Scienze sulle colture geneticamente modificate leggiamo: “Le valutazioni dei rischi devono prendere in considerazione non solo i rischi potenziali dell’uso di una nuova varietà di pianta, ma i rischi delle alternative nel caso in cui proprio quella varietà non fosse resa disponibile”. Un invito esplicito a “riesaminare l’applicazione del principio di precauzione” È un’esortazione che rinvia alla dimensione umana e creativa della sfida delle risorse, che ritroviamo anche nell’enciclica Laudato si’: “Non si può esigere dall'essere umano un impegno verso il mondo, se non si riconoscono e non si valorizzano al tempo stesso le sue particolari capacità di conoscenza, volontà, libertà e responsabilità”. Eppure dell’enciclica viene ricordata soprattutto la frase in cui si parla di decrescita...

L’Enciclica non dice che l’uomo deve tornare ad essere primitivo, ma che deve utilizzare responsabilmente la scienza e la tecnologia al servizio della persona umana e non solo del profitto. Perciò, l’Enciclica dice che siamo collaboratori del programma che Dio ha per il mondo, che è continuare con la linea tracciata da Paolo VI con la Populorum Progressio, e nei discorsi fatti all’Accademia, in cui si chiariva il compito dello scienziato, soprattutto cristiano, consapevole che Dio ha messo delle potenzialità nella natura che devono essere scoperte e messe al servizio dell’uomo. La linea virtuosa, in questo tema, è perciò proprio lo sviluppo sostenibile e cioè uno sviluppo che si accorda alle reali potenzialità della natura, che si oppone sia all’uso sconsiderato e contro natura della natura stessa, come se fosse un materiale plastico che possiamo plasmare a piacere, sia all’atteggiamento romantico di considerare la natura alla stregua di un museo, che va solamente protetto.


L’enciclica Laudato si’ lega esplicitamente la questione ambientale a quella sociale: il degrado dell’ambiente provoca anche povertà umana, e al tempo stesso la povertà conduce a trascurare l’ambiente e a favorire una visione di breve periodo - tendenzialmente “predatoria” - sulle risorse del Pianeta. Al centro di questa sfida non è solo l’“homo technologicus”, ma anche l’“homo oeconomicus”, capace cioè di mettere in relazione gli obiettivi con gli strumenti a disposizione, la sostenibilità ambientale con quella economica e sociale. Anche qui, è possibile leggere un rifiuto dell’approccio dell’ambientalismo “costi quel che costi”, in favore di una visione più pragmatica?

Direi che l’Enciclica giustamente lega per la prima volta l’ecologia umana a quella ambientale parlando di ecologia integrale. È chiaro che i cambiamenti climatici influiscono negativamente sull’umanità in mille modi, a cominciare dalla salute, poi con le migrazioni, poi con le nuove forme di schiavitù, perché aumenta la povertà. Se vogliamo uscire da questa situazione bisogna tener conto sia delle nuove forme di energia, sia della decarbonizzazione dell’economia, sia di una paternità e una maternità responsabili, come già indicava anche Paolo VI, sapendo che tutto quello che facciamo alla terra si ripercuote sull’uomo e viceversa.