lago garda big 

Le bellezze dell’area del lago di Garda ogni anno attraggono milioni di turisti. Da un po’ di anni a questa parte il numero è cresciuto in maniera significativa fino ad arrivare a qualcosa come 25 milioni di presenze annue, per dare una idea di grandezza, più della somma dei pernottamenti di regioni a forte vocazione turistica come Sardegna e Sicilia. Solo nel Garda bresciano si contano almeno 800 alberghi e più di un migliaio di ristoranti, per non parlare delle seconde case che fanno diventare l’area densamente popolata soprattutto durante i mesi estivi. Tutta questa presenza “umana” ha un certo impatto sulle infrastrutture locali, tra le quali c’è il sistema di gestione delle acque reflue.

Già nel 2012 si iniziò a valutare possibili alternative per alleggerire il carico di lavoro dei collettori fognari che attualmente convogliano prevalentemente nel depuratore di Peschiera del Garda in territorio veronese. La parte dei reflui proveniente dai comuni bresciani che si affacciano sulla costa nord occidentale del lago, viene collettata nell’impianto di Peschiera attraverso una condotta che passa sul fondo del lago.
Una delle alternative prese in considerazione fu quella di convogliare questa parte di acque da trattare in un altro impianto mediante un sistema di collettazione che non prevedesse l’utilizzo di condotte sub-lacuali che negli ultimi anni avevano dato chiari segni di un forte deterioramento.
Infatti, le ispezioni subacquee fatte per verificare lo stato delle condotte hanno evidenziato una presenza significativa di corrosione metallica promossa da concrezioni batteriche. Nel 2018 si rese necessario un impegnativo lavoro di manutenzione e ulteriore ispezione in profondità che portò il costo finale dell’intervento fino a quasi 2 milioni di euro.

Nel 2017 il Ministero dell’Ambiente e le Regioni Lombardia e Veneto firmarono un protocollo di intesa con il quale si stanziava un finanziamento di 220 milioni di euro destinato alla realizzazione delle nuove opere di collettamento e depurazione del Lago di Garda e si definiva una cabina di regia tra Ministero e Regioni avente come funzione quella di garantire il coordinamento del programma operativo degli interventi. Data l’importanza dell’opera, anche necessaria per risolvere le procedure di infrazione dell’Unione Europea pendenti in materia di qualità delle acque, il Ministero mise a disposizione 100 milioni e la restante parte restò a carico degli ATO (Ambito Territoriale Ottimale) locali. Le linee guida dell’intesa previdero: la riconfigurazione degli schemi di rete che permettesse un trattamento depurativo delle acque della sponda bresciana in territorio lombardo e la dismissione delle condotte sub lacuali.
Il gestore unico del servizio idrico bresciano, Acque Bresciane, nel 2018 commissionò al Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Università degli Studi di Brescia uno studio costi/benefici su quattro possibili soluzioni alternative per la realizzazione di reti di collettamento e impianti di trattamento dei reflui provenienti dai comuni della sponda bresciana, tra queste venne preferita quella che prevede la realizzazione di due grossi impianti: uno da realizzare subito a Gavardo e l’altro da costruire a Montichiari in una seconda fase. Entrambi gli impianti avrebbero come ricettore finale delle acque depurate il fiume Chiese.

Lo schema selezionato risultava essere il migliore dal punto dei costi ma soprattutto da quello impiantistico: collettamento di reti fognarie di numerosi comuni, riduzione del numero totale di impianti, minimizzazione del carico inquinante residuo, scarico dell’acqua depurata in un corso d’acqua in movimento con la possibilità di uso irriguo.
Nel momento in cui il progetto e i risultati di questi studi vengono resi di dominio pubblico si scatenò subito una reazione a catena di veti incrociati delle autorità locali che fecero impantanare il progetto.
Comuni dell’asta del fiume Chiese, comunità montane, associazioni ecologiste, esponenti locali di vari partiti politici della provincia di Brescia, comitato referendario per l’acqua pubblica, tutti ora si schierano contro la realizzazione del depuratore di Gavardo.
Teatro dello scontro diventa soprattutto il consiglio provinciale che si riunisce nel Palazzo del Broletto di Brescia, ma ci sono state anche partecipate manifestazioni di piazza a gennaio di quest’anno.

Le forze schierate contro la realizzazione del depuratore di Gavardo adducono motivazioni ecologiste a sostegno della loro tesi, l’impianto viene percepito come un’opera dall’ impatto paesaggistico-ambientale negativo e una potenziale fonte di inquinamento del già martoriato fiume Chiese, il tutto ben amplificato dalla stampa locale.

Il fronte del No ha anche avanzato contro proposte con un ventaglio di soluzioni tecniche alternative. Si è partiti con l’individuazione di aree alternative tutte in area gardesana, poi si è sottolineata più volte l’assenza di normative che impedissero di scaricare l’acqua depurata direttamente nel lago. Quindi si è passati alla confutazione dei risultati delle ispezioni subacquee sullo stato di degrado delle condotte sub lacuali, avanzando anche la proposta di sostituirle con condotte nuove più grandi.

La Regione ha anche tentato un’opera di mediazione, incaricando il Presidente della Provincia di Brescia a trovare soluzioni condivise, ma a nulla valgono le aperture dei comuni della riviera bresciana come quella di versare nelle casse dei comuni ospitanti l’impianto lungo il Chiese una parte dei proventi della tassa di soggiorno: i sostenitori del no sono irremovibili.
Ovviamente i politici locali tirando la giacchetta ai politici nazionali si sono impegnati non poco nell’arte del prendere tempo e procrastinare, rimandando le decisioni all’ennesimo incontro valutativo con la cabina di regia.
L’ultimo recente atto di questa vicenda ha visto a una presa di posizione a favore dell’impianto di Gavardo da parte Ministero dell’Ambiente, una pronta risposta sia da parte dei comuni del Chiese che promettono battaglia in sede di Conferenza dei Comuni dell’ATO che dal centrodestra che compatto annuncia imminenti azioni legali.

La sindrome NIMBY (Not In My Back Yard), quella di non voler vedere opere pubbliche costruite vicino casa, non è solo una prerogativa tutta italiana, esiste anche in altri paesi. Ma solo in Italia riesce a raggiungere livelli estremi di frammentazione campanilistica anche quando ci sono tanti soldi a disposizione. L'ultima novità a riguardo è la possibilità di accedere alle risorse del Recovery fund per finanziare l’opera dato che l’intervento è cantierabile entro il 2026 ed ha quelle caratteristiche da “green economy” nella quale dovremmo investire il 37% dei fondi europei. Quindi non è la mancanza di fondi a fermare le opere pubbliche, lo scoglio principale è di natura politica e culturale. Nel paese dei mille campanili, dei distinguo, dell’eterno benaltrismo non si riesce a far quadrato su un progetto di interesse comune dal quale tutti possano trarne dei vantaggi.
Gli oppositori del progetto, impostando tutta la loro battaglia solo sul No all’impianto di Gavardo, hanno fatto passare nell’ombra un aspetto che invece merita di emergere con forza nel dibattito. La parte più rilevante del progetto non è il depuratore in sé, che da qualche parte si deve pur fare, ma è l’opportunità di migliorare e ammodernare l’intera rete fognaria esistente, necessità già inserita tra i punti critici nel piano d’ambito 2016-2014 dell’ATO di Brescia e ivi bollata come incompleta, vetusta e sottodimensionata. I fautori del no trascurano colpevolmente il fatto che è soprattutto l’inadeguatezza dell’attuale sistema di collettamento a determinare quei fenomeni di inquinamento che loro usano come motivazione a discapito della realizzazione del depuratore. Per fare un esempio, il sottodimensionamento dei collettori attivano con sempre maggiore frequenza i sistemi di sfioro vicino al lago facendo sì che durante periodi di piogge intense, per evitare il sovraccarico delle condotte, una parte di reflui fognari finisca nel lago con l’acqua piovana.

Se a questo sommiamo la presenza di scarichi abusivi, sistemi di raccolta che raccolgono acque bianche assieme alle nere (acque parassite) e un ricambio dell’acqua del lago che richiede tempi ultradecennali, tale che qualsiasi sostanza chimica che entra anche molto diluita tende ad concentrarsi nel tempo, non possiamo che allarmarci per la qualità delle acque del Garda nel prossimo futuro.
La maggior parte di tutti i Sindaci e gli amministratori locali che si scagliano contro il progetto hanno nei loro paesi sistemi fognari inadeguati e avrebbero tutto da guadagnare se invece che attaccare un progetto frutto di un valido compromesso si rendessero protagonisti di un suo miglioramento, ma prevale la logica nimby che è frutto di un riflesso culturale del no a prescindere alle grandi opere ormai assimilato dalla società italiana.

Prendiamo i comuni dell’asta del Chiese, non vogliono il depuratore perché temono che danneggi ulteriormente le acque del fiume Chiese, ma si dimenticano che il fiume è già vittima degli scarichi abusivi industriali e dei piccoli impianti di depurazione obsoleti che non riescono a gestire repentini aumenti dei carichi in ingresso. Il fiume è anche soggetto a variazioni importanti della sua portata, in parte anche per ragioni antropiche, questa scarsità d’acqua nel letto del fiume in passato ha posto le basi per lo sviluppo di una locale epidemia da legionella, anche se limitata a pochi casi, si è trattato di una emergenza sanitaria di non poco conto. L’ATS ha attribuito la fonte della legionella ai ristagni d’acqua che durante la stagione calda si imputridivano. Con le prime piogge le acque contaminate, diffondendosi in piccola parte anche via aerosol, contaminavano gli avventori dell’area vicina al fiume.

I contestatori dell’impianto hanno utilizzato il termine “deturpatore”, ignorando che un depuratore serve soprattutto per ridurre l’inquinamento, data la tipologia del “materiale” trattato, non si può fare a meno di produrlo e da qualche parte bisogna depurarlo. Inoltre secondo la normativa vigente, tanto più grosso è l’impianto tanto più restrittivi diventano i requisiti che deve possedere l’acqua depurata in uscita dall’impianto. Le dimensioni dell’impianto permetterebbero di immettere un flusso importante di acqua depurata che andrebbe a migliorare la portata del fiume Chiese. Senza tralasciare un particolare importante che la qualità dell’acqua in uscita dall’impianto può essere costantemente monitorata.
Lo stallo del progetto non risolve i problemi, conduce solo a un’altra occasione persa per il risanamento del fiume Chiese.

La classe politica locale preferisce alimentare una cultura del sospetto che prevede che dietro grandi progetti si nascondono chissà quali magagne, sceglie di aizzare un diffuso sentimento antiscientifico che diffida anche dell’analisi tecnica di qualsivoglia istituzione terza, optando a raccogliere un facile consenso con l’utilizzo di beceri localismi che hanno come politica ispiratrice una sorta di sovranismo local-egocentrico (la fogna è tua, te la depuri e scarichi a casa tua). Più che promuovere cooperazione e sinergie tra istituzioni locali si preferisce alimentare le divisioni con il risultato di congelare l’antiquato sistema di depurazione esistente, basato sul sito di Peschiera (va sempre bene se le acque di fogna dei bresciani gliele diamo ai veronesi) e su altri numerosi piccoli, vetusti e inquinanti impianti, senza considerare l’assenza di spazi e la necessità di pesanti investimenti di riqualificazione della struttura esistente.

Questa storia evidenzia ancora una volta la subalternità che hanno tutte le maggiori forze politiche sia di maggioranza che di opposizione nazionali rispetto alle istanze localiste e populiste. Le istituzioni centrali dimostrano una debolezza ed un atteggiamento rinunciatario rispetto a promuovere una politica dell’interesse generale del lungo termine, manca la fiducia nel progresso tecnico e uno slancio ambizioso teso a modernizzare il paese.
Proprio quello di cui avremmo bisogno in tempi di Recovery fund.