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Non è stata sufficiente la drammatica crisi economica che abbiamo patito nell’ultimo decennio, né le turbolenze, le incertezze e i venti di guerra che spirano dal Nord Africa alla Russia, passando per il Medio Oriente e la penisola arabica: l’Italia è ancora paralizzata dalla cultura del No a tutto. No ai rigassificatori, no ai gasdotti, no alle ferrovie, no ai termovalorizzatori, no ai trattati di libero scambio, no alle infrastrutture, no alla sperimentazione. Di recente abbiamo scoperto persino i No ai vaccini, ma lì siamo ormai nel campo della psicopatologia.

L’argomento tipo dei No a tutto è il seguente: “L’Italia dovrebbe puntare alle energie rinnovabili, sul turismo e sulla qualità delle sue produzioni enogastronomiche locali, anziché pensare alla ricerca di idrocarburi nell’Adriatico, all’industria pesante o alle biotecnologie alimentari”. Una convinzione granitica, non negoziabile, benaltrista e tanto ipocrita, con cui ormai facciamo quotidianamente i conti. Una forma contemporanea di luddismo.

Quel che è peggio è che un pezzo significativo della classe politica italiana preferisce assecondare questi umori, anziché contrastarli con una visione lucida, razionale, positiva e pragmatica.

E’ estremamente paradigmatica di questa debolezza politica la vicenda che ha portato dieci Regioni italiane, governate sia dal centrosinistra che dal centrodestra, a depositare sei quesiti referendari “anti-trivelle”, tesi cioè ad abrogare le norme del governo Monti e del governo Renzi (il decreto “Sblocca Italia”, in particolare) che rendono più agevoli le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sul territorio nazionale. Per i governatori di queste regioni è dunque più facile unirsi al coro del “No alle trivelle” che provare a gestire i rischi e a cogliere le opportunità di situazione complesse.

Il petrolio e il gas non sono “buoni” o “cattivi” in sé: sono fonti di energia che auspicabilmente un giorno supereremo, ma con cui faremo i conti ancora a lungo nella nostra vita. Perché rinunciare all’idea di sfruttare i possibili giacimenti nelle nostre acque territoriali in piena sicurezza e con competenza (perché sì, abbiamo molta competenza nazionale)? Per piccole o grandi che siano le risorse energetiche italiane, un loro utilizzo responsabile può rappresentare un’importante occasione per generare posti di lavoro, entrate per lo Stato, riduzione di costi energetici per l’intero sistema Paese.

In questi come in altri casi, l’Italia tornerà ad essere un grande Paese quando deciderà di gestire la complessità, senza rifiutarla a prescindere, nascondendosi dietro la “promessa” di un mondo di solo turismo, energia solare e orti da insalata. Un mondo che non esiste e non esisterà. Chi sta dalla parte dello “Sblocca Italia” - il provvedimento contro cui oggi si scagliano regioni, associazioni ambientaliste e simpatici illusi - non è un fan del petrolio contro il solare. O, per parlar d’altro, della cipolla geneticamente modificata contro il cipollotto rosso di Tropea. Queste contrapposizioni sono solo nella testa di qualche santone della decrescita felice. Il vero discrimine è volere o non volere una gestione attenta e responsabile dell’innovazione, della tecnologia e della libertà economica.

L’Italia va sbloccata dalle sue paure e dalle sue illusioni, forse anche queste figlie di un debito pubblico che per decenni ha anestetizzato il dibattito su come il Paese avrebbe dovuto affrontare e costruire il proprio futuro. Su, sblocchiamoci.

@piercamillo