Di Gregorio gargoyle

Non si è mai mentito come al giorno d’oggi. E neppure si è mai mentito in modo così sfrontato, sistematico, continuo. (Alexandre Koyré, Sulla menzogna politica, 1943)

Si può ritenere che la forma esemplare della menzogna sia la contraddizione, l’affermare che una cosa sia ad un tempo vera e falsa, giusta e sbagliata, bianca e nera. Se, come Koyré affermava la menzogna è il fondamento “antropologico” del totalitarismo politico, la politica contemporanea in Italia, con le sue spettacolari contraddizioni, sembra incamminata esattamente su quella strada. Potremmo dire, probabilmente esagerando, che non ci si è mai contraddetti come al giorno d’oggi, in modo così palese e disinibito.

La contraddizione, da alcuni vista come una potenziale debolezza di questo Governo, ne è in realtà il principio, lo strumento e la garanzia di tenuta. Appare incredibile voler realizzare, nello stesso tempo, sia flat tax, sia il reddito di cittadinanza, misure che riflettono due visioni completamente diverse della politica e due strategie, oggettivamente incompatibili (più spesa e meno tasse), di gestione dei conti pubblici. Ma non lo è se si considera la totale assenza di attenzione per il contenuto (cioè per la realtà e per la verità delle proposte) e si guarda solo al suo effetto, cioè la creazione di una vera e propria macchina del consenso.

Se si nega il principio di "non contraddizione", tutto e il contrario di tutto possono essere contemporaneamente affermati, anche allo stesso tempo, tutto può essere vero, perché nulla è vero e nulla è importante che lo sia, purché si dica ciò che si vuole o che serve che sia detto. Il populista-tipo ama prendere posizione per poi, a intervalli regolari, smentirsi o affermare il contrario, senza però ammettere di aver cambiato idea ma, anzi, negando anche davanti all’evidenza di essersi mai contraddetto.

Di Maio ha sempre giurato che non avrebbe mai fatto un condono fiscale, poi l’ha fatto, negando di averlo fatto. Salvini voleva la secessione dell’Italia e l’alleanza della Padania con la Germania. Oggi, in nome degli stessi “valori” popolari, è diventato un nazionalista anti-tedesco. Le diverse posizioni non sono fini, cioè obiettivi, ma puri mezzi e dunque sono perfettamente fungibili rispetto a un obiettivo di potere.

Una chiara visione delle cose non è identificabile né all’interno del M5S, né della Lega. Ci sono miriadi di posizioni, tra le più differenti e disparate. Ciò non conduce, tuttavia, a correnti, conflitti o (addirittura) al dibattito, per il vero completamente assente, né un tale sistema si configura come una forma di centralismo democratico, poiché ciò implicherebbe che una minoranza segua, sia pure forzosamente, la posizione della maggioranza. Tra le forze populiste non esistono posizioni di maggioranza o di minoranza, la compattezza della linea è sul vuoto, che è il migliore strumento di occupazione del potere.

Questo efficace schema di gioco, comune nei due partiti della maggioranza, viene ora impiegato da tutto il Governo: rappresentanti con idee molto diverse fra loro (a volte veri e propri figuranti che esprimono ruoli anche di presunta opposizione all’interno delle forze governative), con posizioni brutalmente emozionali, dirompenti e volutamente indeterminate, alla ricerca di un nemico o di un colpevole purché sia. Gli esponenti dell’esecutivo, come mossi da un’irrefrenabile “volontà di vita”, hanno il solo obiettivo di andare avanti.

Tale atteggiamento nel Governo costituisce il presupposto culturale per il venir meno del principio di non contraddizione, come già evidenziato, e dunque anche di quello di falsificazione. La negazione di questi due principi è la premessa per il ribaltamento di un sistema di garanzie su cui è basata non unicamente la democrazia liberale, ma l’intero ordine politico occidentale, perché mina la razionalità del discorso pubblico.

Si è spesso parlato di democraticità o non democraticità della scienza, ma bisogna ricordare che se la scienza è democratica (un dialogo tra pari aperto a tutti secondo un principio di competenza), la democrazia è in qualche modo scientifica (una competizione tra “ricette” a cui tutti possono accedere, secondo un principio di responsabilità razionale: in democrazia nessuno può dire di parlare “a nome di Dio”, perché non lo può dimostrare, né alcuno può dimostrare il contrario).

Sia scienza che democrazia dovrebbero adottare un approccio “Trial and Error”: teorie scientifiche e strategie di governo devono poter essere sottoposte a un esame, all’esito del quale c’è la possibilità che vengano falsificate o, al contrario, confermate. Deve esserci la volontà di accettare possibili errori per realizzare qualcosa di verificabile, migliorabile, contestabile. Ignorando il principio di non contraddizione e portando posizioni volutamente ambigue o vuote (vuote, ma piene perché possono implicare qualsiasi visione ed interpretazione), si impedisce un processo di falsificazione. Chi agisce in modo tale da sottrarsi al rasoio della logica e del metodo scientifico, non può essere contraddetto o contraddirsi, non può essere smentito dai fatti o dall’azione politica, non può essere delegittimato.

La fuga dalla logica, dalla verità, dalla realtà, è soprattutto una fuga dalla ragione. È un modo per far sì che non sia più un metodo razionale ad essere alla base della discussione e del confronto politico o scientifico, così da rendere inconsistenti le critiche degli avversari e da neutralizzare preventivamente ogni argomento contrario. Non valgono le discussioni, perché non c’è niente da discutere.

Tale modalità operativa in politica è rappresentata anche dalla retorica della volontà del popolo: presentandosi come megafono del popolo, non si può essere falsificati. Non si può falsificare una “voce”. Chi si oppone al potere diventa un nemico del popolo e le sue critiche vengono asfissiate: approccio estremamente efficace per disorientare e frustrare le opposizioni.

Anche le teorie pseudoscientifiche e le ossessioni per i complotti agiscono in modo analogo, proprio perché non possono essere smentite. La pseudoscienza, per non essere sottoposta a un esame da cui verrebbe falsificata, esce dagli schemi di logica, di scientificità, di coerenza della possibile falsificazione, facendo previsioni vaghe, o che ammettano eventi contradditori o contrastanti, per aggirare la prova dei fatti. Parimenti il politico giallo-verde non può essere contraddetto dal suo operato, perché tenendosi lontano dalla chiarezza nelle affermazioni, a queste potrà dare le interpretazioni più disparate e, nel tempo, più convenienti; perché individua ogni avvenimento come esito di un complotto ordito da un qualche nemico; perché non ha responsabilità alcuna delle proprie azioni, e quindi delle proprie colpe, in quanto agisce come mero strumento della volontà del popolo.

Il "Governo del Cambiamento" si prospetta, quindi, non tanto quale cambiamento nella sostanza della politica, ma nella forma. Nella negazione di basilari principi democratici e scientifici si ha il disconoscimento del ruolo della ragione come strumento unico e universale grazie al quale è possibile il confronto. Con l’accettazione e lo sdoganamento di un modo di discussione che con logica e razionalità non ha nulla a che fare, si rende di fatto impossibile il dialogo e la competizione civile. Con la morte di questi si ha la morte della democrazia liberale.

L’esecutivo giallo-verde non può cadere per le sue contraddizioni, in quanto refrattario al principio di "non contraddizione". Ciò che si sta verificando è, al contrario, la legittimazione culturale e politica della contraddizione come prova di forza e non di debolezza. La vacuità e l’inconsistenza del discorso politico, l’incomunicabilità attraverso strumenti logici condivisi, la caduta di garanzie di controllo essenziali: in ciò consiste questa neppure troppo nuova rivoluzione culturale.