Bandiera UE strappata

Le elezioni presidenziali austriache, che hanno visto la vittoria di un soffio al secondo turno del candidato dei Verdi contro quello dei nazionalisti dell'FPÖ, sono solo l'ultimo dei numerosi segnali che da tutta Europa arrivano circa un cambiamento radicale del paradigma politico continentale.

Fino a solo un decennio fa, salvo sporadiche eccezioni, in tutta Europa si confrontavano opzioni più o meno larghe di 'centrosinistra' basate su un partito facente parte della famiglia dei socialisti europei contro coalizioni di 'centrodestra' che facevano sempre perno su una forza politica conservatrice o popolare. Altre forze minori (i verdi, i liberali, le destre nazionaliste e le sinistre più radicali) erano talvolta incluse talaltra escluse da tali coalizioni ma partecipavano alla alternanza politica fondata sul perno Socialista o Popolare.

La crisi economica, sociale e politica che ha colpito l'Europa ha portato da un lato alla nascita e/o al rafforzamento di forze difficilmente riconducibili agli schemi tradizionali e caratterizzate da un approccio tendenzialmente antieuropeista, populista, antisistema, e dall'altro anche alla frattura profonda all'interno dei partiti guida tradizionali che hanno visto crescere al proprio interno opzioni politiche apparentemente inconciliabili.

La divisione che si sta affermando in molti Paesi del continente è invece sempre più tra i partiti legati alle culture politiche tradizionali (socialisti e popolari ma anche liberali e talvolta gli stessi verdi) e i partiti diversamente antisistema - talvolta posti agli opposti del tradizionale spettro politico - che raccolgono il consenso di chi è rimasto "orfano" all'esito di questa crisi: il voto di quei cittadini che Beppe Grillo durante una recente intervista al Corriere ha definito "i disadattati" che puntano a una soluzione rivoluzionaria, a tratti nichilista e distruttiva, che sovverta l'ordine costituito senza, spesso, proporre nessuno schema alternativo, costruttivo e realistico.

Con tutte le differenze dovute al contesto nazionale, è il caso della Spagna con Podemos, della Francia con i nazionalisti di Marine Le Pen, della Germania che vede crescere la forze antisitema di AfD, dell'Austria con l'FPÖ, dell'Olanda con la xenofoba PVV, o del PiS in Polonia. Ed è sicuramente il caso anche dell'Italia, dove ormai le forze di Lega Nord e Movimento 5 Stelle raccolgono insieme una percentuale di voti vicina al 50%.

Si tratta, a dire il vero, dello schema politico che ha sempre sostenuto le maggioranze del Parlamento Europeo che, da sempre, è stato governato (per ragioni varie) da maggioranze formate dal PPE (popolari di centrodestra), PSE (socialisti) e ALDE (liberali) contro nazionalisti, sinistra e verdi.

La maturazione del destino comune e, paradossalmente, l'entrata in crisi del modello europeo hanno accelerato "l'europeizzazione" del dibattito politico a livello nazionale nello schema di gioco e, spesso, anche nei temi affrontati.

Il modello della Grande Coalizione si sta imponendo in modo formale (come in Germania, Italia e, probabilmente tra non molto, anche in Spagna) o informale (ad esempio con le desistenze anti Front National tra Socialisti e Centrodestra francese).

Là dove i partiti "tradizionali" hanno preferito corse solitarie ed evitare accordi e desistenze in funzione anti-populismi, sono rimasti tagliati fuori. Questo è appunto successo di recente in Austria dove la somma aritmetica dei voti dei soli candidati popolare e socialista al primo turno delle presidenziali (il 22%), senza contare la possibilità di accordarsi anche con i liberali (che hanno ottenuto un lusinghiero 19%), avrebbe consentito ai partiti tradizionali di accedere al secondo turno al posto del candidato verde (che ha ottenuto, al primo turno il 21%) affrontando al ballottaggio il candidato nazionalista (che ha ottenuto il 35%) per poi sconfiggerlo, probabilmente, in modo più agile di quanto non sia stato fatto.

Lo schema politico è cambiato e coloro i quali ancora non se ne sono accorti rischiano di soccombere e di ripetere tragici errori che l'Europa ha già compiuto nel periodo più buio del secolo scorso lasciando libera la strada a forze nazionaliste, che l'hanno trasformata in un campo di battaglia prima e in un cimitero poi. La battaglia tra i partiti tradizionali che, nel futile tentativo di ottenere la palma di soggetto politico più grande del fronte "europeista", hanno preferito battaglie identitarie e solitarie, ha portato e porterà solo a dolorose sconfitte.

È quindi necessario, per i partiti europeisti,riflettere sull'opportunità di serrare i ranghi mettendo da parte differenze che tradizionalmente hanno caratterizzato gli storici avversari della politica europea del novecento per salvare la democrazia e la pace del continente.

Tuttavia c'è un fondamentale caveat che non può che accompagnare questo richiamo all'unità in nome dei valori che uniscono l'Europa: le "Unions Sacrées" così costituite non possono tramutarsi nel luogo del compromesso al ribasso semplicemente teso alla conservazione dell'esistente e all'immobilismo. Al contrario, queste alleanze devono essere efficaci e profondamente riformatrici, guidate dall'obiettivo di salvare l'Europa riformandola nel profondo e scacciando così i fantasmi nazionalisti, xenofobi e populisti.

Il rischio è che, altrimenti, le Grandi Coalizioni siano una trappola che attira tutti gli europeisti nella stessa stanza e che consentirà a chi rimane fuori di dar loro fuoco sbarazzandosi dell'impiccio una volta per tutte.