È da poco passato l'Earth Day, la Giornata della Terra, la mobilitazione globale nata negli Stati Uniti 45 anni fa per tutelare l'ambiente e salvare il pianeta.

In questa giornata sono state fatte miliardi di "azioni verdi" in tutto il mondo, ad esempio sono stati piantati oltre un miliardo di alberi per "restituire un po' di verde" alla Natura e contribuire alla stabilizzazione dei mutamenti climatici; in Italia si sono organizzate tante altre azioni educative con i bambini delle scuole come "lezioni di orto urbano" e "lezioni di spesa a km zero"

Earthday

In occasione di questa celebrazione promossa dalle Nazioni Unite sono intervenuti il Papa, che ha esortato gli uomini a "custodire la terra", la Nasa, Google, capi di stato e miliardi di persone comuni in tutti gli angoli del pianeta per cercare soluzioni a problemi giganteschi come il riscaldamento globale (o il cambiamento climatico), la desertificazione, la deforestazione, la salvaguardia della biodiversità, l'accesso all'acqua potabile.

Tutto perfetto, la manifestazione ha avuto come ogni anno un grande successo, milioni di persone hanno partecipato e tante altre sono state sensibilizzate su problemi che ci riguardano da vicino. Ma dal giorno dopo la Giornata della terra che si fa? Davvero pensiamo di poter "salvare il Pianeta" (senza dimenticare gli uomini) spegnendo la luce, mettendo pannelli solari e pale eoliche, coltivando orti urbani e tirando non troppo spesso lo sciacquone?

Senza dimenticare i meriti di iniziative del genere, che comunque sono riconosciuti pressoché da tutti, c'è forse qualcosa che va cambiato nell'approccio alla questione ambientale e nel tipo di soluzioni proposte. Da un lato, proprio per non svilire la causa ambientalista ed avere un approccio concreto e razionale, bisognerebbe smetterla con le profezie apocalittiche: sono 45 anni, dal primo Earth Day, che si dice che "abbiamo solo cinque anni per fare qualcosa", solo vent'anni prima che la civiltà sparisca, solo sette anni prima che tutto diventi deserto, solo tre anni prima che le foreste spariscano. Puntualmente nessuna di queste profezie si è mai avverata e l'Apocalisse viene rimandata di qualche anno.

L'approccio religioso o superstizioso di un'umanità colpevole di aver imbrattato l'Eden, timorosa di una Natura pronta a vendicarsi degli sfregi subiti, non serve a molto. Sarebbe forse utile iniziare a smetterla di parlare della Natura, del Pianeta e della Madre Terra come se fosse una divinità o un essere senziente, buono o vendicativo, da blandire o tutelare. Forse bisognerebbe che la smettessimo di pensare a "salvare il Pianeta", un obiettivo che è, per usare un eufemismo, troppo ambizioso per l'uomo. Il pianeta Terra e la Natura sanno badare a sé stessi, esistono da prima che comparisse l'uomo e con ogni probabilità esisteranno anche dopo la nostra estinzione. Insomma l'uomo, che non sarebbe sopravvissuto a tutte le catastrofi e i cataclismi che la natura ha passato, dovrebbe pensare a salvare sé stesso. E la tutela dell'ambiente dovrebbe essere solo una conseguenza di questo obiettivo primario.

E se l'obiettivo è rendere il pianeta un posto vivibile per l'uomo, forse è il caso di pensare quali soluzioni siano più adatte ai problemi che ci troviamo di fronte. Nell'anno dell'Expo, che ha come tema quello di "nutrire il pianeta", si può parlare in maniera laica e scientifica di OGM discutendo del metodo migliore per rendere i raccolti più produttivi e ridurre l'uso di pesticidi e erbicidi, senza tirare fuori il cibo di Frankenstein e la hybris dell'uomo? Non è forse il caso di discutere con i numeri alla mano se il km zero, il biologico e la decrescita anziché l'innovazione tecnologica e la globalizzazione siano il metodo migliore per sfamare 7miliardi e passa di persone? Quando si parla di deforestazione non è il caso di smetterla con la demonizzazione dell'olio di palma, l'ultima battaglia alla moda dell'ambientalismo militante?

Ci sono miliardi di persone nel mondo che hanno bisogno di cibo, di calorie e di grassi vegetali e tutte le alternative conosciute al palma sono più costose e meno produttive, quindi consumerebbero più suolo. Certo, bisogna fare in modo che tutto ciò, dalla ricerca scientifica alla coltivazione fino alla produzione industriale avvenga nella maniera più economicamente e ambientalmente sostenibile, ma è solo con un approccio scientifico e razionale che si può tutelare l'ambiente per salvare l'uomo, non con sacrifici pseudo-religiosi sull'altare della Madre Terra.