Abrignani

Sempre più spesso parlamenti e governi sono chiamati a scelte delicate, in cui è decisivo comprendere, in modo razionalmente fondato, la relazione tra scienza, innovazione e salute. Per ridurre i morti da fumo, esistono prodotti alternativi alle sigarette tradizionali, che non ha senso continuare a sottoporre a una regolamentazione punitiva, proprio perché possono dare un contributo decisivo a obiettivi di salute pubblica. Ma occorre provarci e avviare una seria sperimentazione.

Per chi ha su di sé l’onore (e l’onere) di prendere decisioni rilevanti per il benessere e il futuro della collettività, oggigiorno diventa sempre più complesso orientare le proprie scelte. Viviamo, infatti, una fase storica in cui ciascuno ha la possibilità d’informarsi, benché, spesso, solo per trovare la conferma alle proprie opinioni, quando non alla propria rabbia o malessere.

Il tema occupa un posto di rilievo nel dibattito pubblico e interessa anche aspetti centrali del nostro stare assieme, come quelli che scaturiscono dal connubio fra scienza, innovazione e salute. Se la polemica sui vaccini può essere assunta a paradigma di questo nuovo stato di cose, capace nelle sue manifestazioni più estreme di rimettere in discussione persino l’applicazione stessa della medicina e con essa il già logoro rapporto fra cittadini e classe dirigente, altrettanto delicate possono rivelarsi le implicazioni delle novità provenienti dal mercato del fumo e del tabacco. In tempi recenti questo è stato letteralmente rivoluzionato dall’arrivo di prodotti alternativi che non si fondano più sulla combustione, né contengono le stesse sostanze tossiche o cancerogene presenti invece nelle normali sigarette.

La comparsa dei riscaldatori di tabacco e delle sigarette elettroniche ci impone una riflessione che sarebbe fuorviante circoscrivere alla semplice battaglia contro il fumo. Al contrario, riguarda da vicino la possibilità di ridurre il danno alla salute provocato dai prodotti tradizionali, un punto su cui non dovrebbe più esservi dubbio alcuno. A tal proposito, le statistiche sono inequivocabili: viviamo in un Paese con oltre 11 milioni di fumatori, ossia il 22,3% della popolazione, mentre il tabacco resta la principale causa di morte provocando dai 70 mila agli 83 mila decessi l’anno in Italia e colpendo soprattutto le persone fra i 35 e i 65 anni di età. Di recente l’Associazione italiana di oncologia medica ha calcolato che circa il 30% di tutti i tumori è correlato al consumo di tabacco.

Con 700 mila morti l’anno e 19 mila vittime per l’esposizione al fumo, la questione attanaglia anche i nostri partner europei benché, fra di essi, vi sia chi si è già mosso con decisione al fine di provare a ridurre questi numeri. Le ripercussioni, naturalmente, si fanno sentire anche a livello socio-economico: per l’OMS, l’impatto dei prodotti dell’industria del tabacco sulle economie mondiali ha un costo annuo stimato in oltre mille miliardi di dollari fra spese sanitarie e perdita di produttività.

A fronte di costi salatissimi anche nel nostro Paese, con circa 6,5 miliardi di euro destinati alla cura delle malattie che derivano dalla dipendenza dal fumo, il tema non può non interessare il decisore pubblico per l’impatto che ha sul funzionamento del servizio sanitario nazionale o sullo sviluppo delle nostre industrie d’avanguardia. Preso atto delle enormi difficoltà legate al far smettere di fumare, è giusto che lo Stato si adoperi per supportare dispositivi alternativi alla sigaretta e finalizzati a ridurre il rischio di morte a essa legato?

La risposta può non apparire facile ma in ultima istanza deve essere positiva. Per la politica si tratta di prendere consapevolezza del fatto che i prodotti da fumo di nuova generazione vanno tutelati in primo luogo in quanto caratterizzati da rischi di gran lunga inferiori rispetto a quelli delle sigarette tradizionali, mettendoli al riparo da regimi fiscali punitivi come quelli oggetto di giudizio di fronte alla Corte Costituzionale e presso diverse corti tributarie, nonché dagli attacchi di quanti preferiranno vedervi soltanto una nuova forma di business a danno dei consumatori.

Di fronte a una società fatalmente esposta al richiamo di credenze ed emozioni, disabituata a leggere i fatti secondo il metodo sperimentale, e molto più propensa a piegarli alla propria visione del mondo, per il policy maker diventa allora fondamentale saper reggere il confronto sul piano dell’informazione. Approfondimento, apertura e confronto su temi soltanto in apparenza laterali sono le pietre miliari della via che conduce alla decisione, tanto più quando si tratta di ragionare su argomenti sensibili come quelli che impattano sulla salute dei cittadini.

@abrignani_i