Gli italiani, così come gli americani, possono guardare all’esperienza dei paesi che hanno messo in atto politiche innovative e alternative sulle droghe. Sono tutte politiche che hanno portato grandi benefici, al contrario del proibizionismo che ha fallito e fatto danni ovunque.

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Sono americano, e quindi non ho il diritto di dire agli italiani cosa fare. Ma mi si permetta di offrire un parere sincero: è arrivato il momento che anche l’Italia si lasci alle spalle la guerra alla droga. Una guerra che ha fallito in Italia come nel resto del mondo.

Sappiamo chi beneficia maggiormente del proibizionismo sulla cannabis e sulle altre droghe. Sono le mafie, i gangster che corrompono i funzionari di governo e i comuni cittadini, guadagnando grandi fortune da un mercato nero globale da 300 miliardi di dollari l’anno. Le prigioni di tutto il mondo non sono piene di signori della droga, ma di povera gente trovata in possesso di piccole quantità di droga, o nell’atto di trasportarla o di venderla. La polizia e gli eserciti sono impiegati in una guerra che è impossibile vincere e che viola i diritti fondamentali delle persone. E nel frattempo sempre più persone consumano droghe. È la storia del proibizionismo sugli alcolici e di Al Capone che si ripete.

Non c’è alcuna ragione logica per insistere con questa politica costosa e fallimentare. Questo è il parere della Global Commission of Drug Policy, della quale fanno parte molti ex presidenti di paesi dell’America Latina e dell’Europa, così come l’ex segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, l’imprenditore Richard Branson e due tra gli statisti più illustri degli Stati uniti, l’ex Segretario di Stato George Shultz e l’ex presidente della Federal Reserve, Paul Volcker. È la stessa conclusione a cui è arrivata in Italia la Direzione Nazionale Antimafia, e sulla quale si registra il consenso degli scienziati e degli studiosi che hanno analizzato il problema più approfonditamente.

I mercati di marijuana, cocaina, eroina e metanfetamine sono mercati globali di materie prime, proprio come quelli dell’alcool, del tabacco, del caffè, del tè e di tante altre commodities. Se una fonte di approvvigionamento viene eliminata, un’altra prende rapidamente il suo posto: dove c’è domanda, ci sarà sempre un’offerta che la soddisferà. Si tende a credere che il divieto sia un’estrema forma di regolamentazione, quando in realtà il divieto è proprio la rinuncia alla regolamentazione, con i criminali pronti a riempire il vuoto.

È per questo che mettere la polizia e le agenzia di sicurezza in prima linea e al centro del tentativo di controllare un mercato dinamico e globale di materie prime è una ricetta sicura per il disastro.

Ciò di cui abbiamo veramente bisogno è portare i mercati sommersi della droga il più possibile in superficie, alla luce del sole, e regolamentarli nella maniera più intelligente possibile, al fine di ridurre al minimo tanto i danni delle droghe quanto quelli delle politiche dei governi.

Per quanto riguarda la marijuana, ciò significa ovviamente legalizzazione, tassazione e regolamentazione. I vantaggi della fine del proibizionismo sarebbero enormi, i rischi minimi. Ci saranno più persone che utilizzeranno la marijuana? Forse, ma non tra gli adolescenti, dal momento che non sarà legalizzata per loro, e che comunque gli adolescenti hanno sempre avuto facile accesso ad essa. Magari ci saranno persone più anziane che preferiranno un po’ di marijuana all’alcool la sera, o alla pillola per dormire, o che troveranno nella marijuana un po’ di sollievo per l’artrite o il diabete, o magari un po’ di vivacità in più per la vita coniugale. E questo sarebbe un problema di salute pubblica? O non sarebbe piuttosto un beneficio, dal momento che sappiamo che la marijuana è relativamente sicura?

È per questo che negli Stati Uniti il Colorado, lo Stato di Washington, l’Oregon e l’Alaska - e l’Uruguay in Sudamerica - stanno cominciando a regolamentare legalmente la cannabis come l’alcool, e molti paesi seguiranno il loro esempio. Attualmente, in Spagna, Svizzera, Danimarca, e Repubblica Ceca, si dibatte sulle diverse modalità per regolamentare legalmente la cannabis. Cosa si aspetta in Italia?

Sia dall’Italia che dagli Stati Uniti è possibile osservare le politiche alternative sulle droghe in vigore negli altri paesi. Guardate il Portogallo, dove nessuno viene arrestato per possesso di droga e il governo è seriamente intenzionato a trattare la dipendenza come un problema di salute. O la Svizzera, la Germania, i Paesi Bassi, la Danimarca, la Gran Bretagna e il Canada, che permettono alle persone dipendenti dall’eroina, e che hanno ripetutamente provato a smettere senza successo, di ottenere legalmente eroina farmaceutica dagli ospedali. I risultati sono definitivi: l’abuso di droga illegale, i casi di overdose, i crimini e gli arresti sono in calo, la salute pubblica migliora, i contribuenti ne traggono beneficio, e molti tossicodipendenti riescono a lasciarsi alle spalle la loro dipendenza.

Guardate la Nuova Zelanda, che ha recentemente emanato una legge (che deve ancora entrare in vigore) per autorizzare l’uso ricreativo delle droghe delle quali è stata stabilita la sicurezza. Guardate il Brasile, in cui una sostanza fortemente psichedelica, l’ayahuasca, può essere legalmente acquistata e consumata nell’ambito di particolari contesti religiosi. Guardate la Bolivia e il Perù, dove tutti i prodotti a base di foglie di coca - la base della cocaina - sono disponibili legalmente nei negozi senza che siano visibili danni per la salute delle persone. E non dimenticate che la Coca Cola conteneva cocaina fino all’inizio del ‘900, eppure non era più “sconvolgente” della versione attuale che contiene caffeina.

Le leggi sulla droga devono essere urgentemente abrogate e riformate. Solo i legislatori italiani possono farlo. La domanda cruciale è: chi si metterà alla guida di questa campagna politica?

  • Ethan Nadelmann è fondatore ed executive director della Drugs Policy Alliance