Dal Sud si può andare al Quirinale, ma non più a Palazzo Chigi. Fateci caso: nella Seconda Repubblica non c'è mai stato un presidente del Consiglio meridionale. Peraltro, dal 1994 in poi, nessuna forza politica ha espresso un candidato a quella carica proveniente da una regione del Mezzogiorno. Berlusconi, Dini, Prodi, D'Alema, Amato, poi ancora Berlusconi e Prodi, di nuovo Berlusconi, Monti, Letta e ora Renzi. Accanto a loro, Occhetto, Rutelli, Veltroni, Bersani come aspiranti premier.

Nello stesso periodo, invece, abbiamo avuto per nove anni un presidente della Repubblica campano, cioè Giorgio Napolitano, e oggi il siciliano Sergio Mattarella.

Vicolo di pulcinella

Negli ultimi 21 anni, insomma, i meridionali hanno potuto fare i capi dello Stato, eletti dal Parlamento con le sue logiche partitocratiche, ma non i leader di partiti e coalizioni candidati al governo del Paese. Questo è, a mio parere, la conseguenza della scarsa credibilità e della poca qualità espressa dalla classe politica del Sud. Decenni di clientelismo e assistenzialismo (nient'affatto sconosciuti nel resto d'Italia ma patologici nel Mezzogiorno) hanno prodotto campioni di preferenze e caudilli locali, ma non leadership. Quel che fu il Regno delle Due Sicilie affoga nel suo provincialismo traffichino, incapace di produrre figure che possano ambire al voto della maggioranza dell'elettorato nazionale.

Una quota rilevante degli elettori meridionali, d'altronde, chiede questo alla politica: non gestione, ma spartizione della cosa pubblica; non imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, ma corsie preferenziali e schermo dalle regole. Quale pensiamo possa essere a tali condizioni l'esito della competizione per il potere politico?

Se l'Italia è una peggiocrazia, il Mezzogiorno è l'Italia al quadrato. E nisciune se ne importa.