Renzi vince, Salvini stravince, l'antipolitica trionfa
Istituzioni ed economia / Editoriale
Il risultato delle elezioni si presta a una duplice chiave di lettura: la prima, più congiunturale, riguarda gli effetti che esso avrà sugli equilibri politici nazionali; la seconda il consolidamento dell'antipolitica come tendenza di fondo e "regola" del gioco democratico.
Quanto al primo aspetto, è successo quel che si prevedeva succedesse, in misura anche superiore al previsto. Il PD ha stravinto tra i vincenti e Salvini tra i perdenti, quest'ultimo soppiantando l'egemonia grillina nella rappresentanza degli "indignati". Berlusconi ha straperso. L'astensionismo è diventato di gran lunga il primo partito, anche nella regione - l'Emilia - dove un tempo il voto e il controllo del voto costituivano il marchio di fabbrica dell'efficienza rossa e della sua "superiore" qualità democratica.
Le conseguenze di questo risultato sembrano altrettanto prevedibili. Continuerà la lunga marcia della Lega come campione di una frustrazione sempre più nazionale e sempre meno nordista e concentrato di tutti gli estremismi "sociali" di successo, da quello anti-euro a quello xenofobo. Berlusconi non potrà più tenere il piede in due scarpe e rimanere fedele insieme al patto del Nazareno - cioè a Renzi - e al patto di opposizione - cioè a Salvini. Dovrà scegliere e sceglierà il secondo - perché la prima scelta, sia per ragioni patriottiche, come quelle che gli suggerisce Ferrara, sia per ragioni aziendali, come vorrebbero Doris, Confalonieri, ecc. ecc., ormai per lui sarebbe poco più che una scelta personale (o, appunto, aziendale), ma non da capo (che non è più) di un partito (che non c'è più).
Infine c'è Renzi, che ha tutto il peso e la libertà del governo ormai in solitaria, senza concorrenze e senza alternative. Ha l'interesse a pedalare e a sperare che qualcosa si muova - politicamente in Europa e economicamente in Italia - per non vedere rapidamente consumare, come sta già iniziando a succedere, il credito ampio e la fiducia devota di chi ha preferito credere al suo "regime change" piuttosto che a quello di Grillo e Salvini. Per ragioni interne e esterne, anche lo scenario delle elezioni anticipate semi-immediate (non con l'Italicum, ma in luogo dell'Italicum) sembra allontanarsi dalle prospettive e possibilità del premier.
Quanto invece al secondo profilo di analisi, quello del rapporto di questo voto con il mainstream antipolitico, occorre ammettere che lo spettacoloso successo dei "discorsi contro" non è una conseguenza, ma anch'essa una manifestazione (e sempre più una causa) del default democratico delle istituzioni politiche, non uno sprone o un incentivo all'efficienza, ma un'exit strategy demagogica - uguale e contraria a quella "partitocratica" - dalla responsabilità di governo.
Di questa sindrome che affligge tutte le maggiori democrazie europee, ma che solo in Italia trova ormai un riscontro democraticamente maggioritario tra i votanti, dovrebbe occuparsi Renzi, prima che la tigre antipolitica, che ancora eroicamente cavalca, alla fine si mangi pure lui.
@carmelopalma