Quest’anno ricorre il centesimo anniversario dello scoppio della Grande Guerra, cioè dell’evento bellico nel quale per la prima volta la coscrizione obbligatoria maschile ha assunto una valenza sistematica ed universale. Milioni di civili, uomini e ragazzi, sono stati trasformati da un giorno all’altro in soldati per decisione dei governi e mandati a combattere e a morire per le rispettive patrie.

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La coscrizione obbligatoria è stata uno degli istituti che più ha caratterizzato il “secolo breve”, accompagnandone tragicamente tutti i conflitti principali e in particolare le due guerre mondiali.Ci eravamo, forse, illusi di essercela lasciata alle spalle, anche in virtù della recente evoluzione delle forze armate in senso professionale nella maggior parte dei paesi europei. Invece in questi ultimi giorni, al culmine della crisi con la Russia, l’Ucraina ha ordinato la mobilitazione di tutti i riservisti, cioè in pratica di tutti i maschi di età compresa tra i 18 ed i 40 anni.

Per ironia della sorte il governo, oggi deposto, di Yanukovich aveva deciso nell’ottobre del 2013 di mandare in pensione la naja, per cui quella attuale sarebbe dovuta essere l’ultima leva di reclute. L’anno che avrebbe potuto sancire la liberazione dei giovani ucraini dalla coscrizione, rischia invece di essere l’anno di una nuova guerra di coscritti – e l’Europa rischia di fare all’improvviso un salto indietro di un secolo.

Nel 2014 ci sono governi che ancora considerano a tutti gli effetti i cittadini di sesso maschile come risorse “spendibili” in nome della “sicurezza nazionale” e lascia sgomenti che tra questi ci sia anche un governo che si rivendica come “europeo” e che aspira ad essere ammesso a pieno titolo nel mondo “occidentale”. Eppure se esiste oggi una “differenza occidentale” – una specificità  del nostro Occidente da riconoscere, amare e difendere – essa risiede proprio nella sensibilità che il nostro emisfero dovrebbe aver sviluppato sulle questioni dei diritti umani, delle libertà civili ed in definitiva sul valore e dell’unicità di ogni singola vita.

Da chi ci richiede sostegno e solidarietà vanno pretesi standard più alti di rispetto dei diritti dei cittadini - perché “essere occidentali” deve voler dire attribuire un valore alto alla vita ed alla libertà umana. Oggi invece si mantiene un atteggiamento di neutralità morale nei confronti della pretesa del governo ucraino di ricorrere a “qualsiasi mezzo” per proseguire il suo testa a testa con Mosca – financo al potere di mandare a morire in guerra ragazzi di leva. Sarebbe grave se qualcuno in Occidente, comodamente seduto in poltrona, pensasse di usare i giovani coscritti ucraini come pedine sacrificabili per una qualche “nostra” partita geostrategica, magari per spostare di qualche chilometro più ad Est degli ideali “confini europei”.

La verità è che l’Europa non ha mai fatto veramente i conti con la questione della coscrizione obbligatoria. Su altre questioni di diritti civili nel dopoguerra si è sviluppata una riflessione profonda che ci impone, ormai, di rapportarci ad essi primariamente sulla base di considerazioni di carattere morale. Questo è vero in primo luogo per le questioni in cui sia in gioco la vita delle persone e per quelle questioni in cui sia in gioco il principio di uguaglianza tra i cittadini. Quando parliamo di stermini di massa come la Shoah, quando parliamo di discriminazione legale operata contro determinate etnie e contro le donne, non possiamo più permetterci ragionamenti meramente “tecnici” che prescindano dall’espressione di un giudizio etico e quindi dalle categorie del “bene” e del “male”.

Purtroppo il “genericidio” al maschile rappresentato dalla leva militare continua, invece, ad essere sottovalutato nella sua valenza. A cent’anni dalla prima guerra mondiale, si va avanti a guardare alla coscrizione obbligatoria con un surreale senso di “normalità” e di “tecnicità”. E’ vero, molti paesi l’hanno abolita o – come è il caso dell’Italia – sospesa, ma perché ritenuta non più “efficiente” o non più “necessaria”, non perché si sia veramente compreso e riconosciuto il suo carattere disumanizzante.

E’ il momento, ormai, di un salto di qualità nel nostro atteggiamento nei confronti del reclutamento forzato, con un occhio al passato ed uno rivolto al futuro. Occorre fare finalmente giustizia a quanti nel tempo vi sono stati sottoposti – in primis a tutti coloro che sono morti o che comunque sono stati segnati nel fisico o nella mente dall’esperienza in divisa. Al tempo stesso serve impegnarsi in modo risoluto affinché nessuno più in futuro si trovi la propria vita “rubata” dal proprio governo. Della leva deve essere riconosciuto il carattere doppiamente oppressivo. Da un lato la privazione della libertà personale di cittadini innocenti, la cui vita spesso è posta in condizioni di immediato pericolo; dall’altro la discriminazione sessista nei confronti degli uomini, ai quali viene imposto con la forza il ruolo tradizionale di protettori.

E’ per questo che oggi, come italiani, come europei e come occidentali, non dovremmo rimanere indifferenti all’impiego della coscrizione nella crisi russo-ucraina. Questo punto rappresenta un discrimine di civiltà che deve venire persino prima di qualsiasi scelta di campo ideologica per l’una o per l’altra parte. Nell’attuale contesto un’iniziativa umanitaria è, in particolare, doverosa ed urgente. Fino a che la situazione non si normalizzerà, essere soggetti alla leva militare nel contesto del conflitto tra Kiev e Mosca deve essere considerato condizione sufficiente per richiedere asilo politico nel nostro paese. E’ il minimo che possiamo fare nei confronti di coloro che oggi vedono la propria vita sospesa da una cartolina precetto.