melenchon faure grande

C’è una lezione che il mondo sedicente progressista dovrebbe apprendere – e non apprenderà – dall’evoluzione della crisi politica francese.

È una lezione, peraltro, che prescinde ampiamente dal giudizio sulla riuscita dell’azzardo politico di Macron, che dopo le europee sciolse il Parlamento, dopo i ballottaggi sembrò uscire trionfatore, anche se non tecnicamente vincitore, dalle elezioni politiche e a distanza di due mesi è costretto a inventarsi un Governo che può basarsi solo sullo sfondamento del muro politico-costituzionale verso la destra, duramente sconfitta nelle urne.

Se Macron sia uno statista o un pokerista, un genio dell’invenzione o dell’inganno è questione che rimarrà aperta finché il machiavellico centrista francese rimarrà all’Eliseo e forse anche oltre. Quale destino spetti invece a una sinistra riformista (o aspirante tale) disponibile a ogni capitolazione ideologico-affaristica con la sinistra populista invece è chiarissimo e quel che sta succedendo in Francia lo dimostra in modo paradigmatico.

Socialisti e riformisti alle elezioni scelsero Melenchon per non essere scalati e mangiati da questo capopopolo della rivolta universale e teorico dell’emancipazione della Francia dalla dittatura tardo-capitalista e globalista. In pratica un lepenista terzo o quarto internazionalista.

La speranza di molti (e forse di Macron) che dopo il voto socialisti e riformisti sarebbero stati disposti a convergere con centristi e post-gollisti in una sorta di maggioranza Ursula alla francese si è dimostrata ampiamente infondata e le liti interne al Fronte Popolare hanno dissimulato la sua sostanziale inscindibilità politica. La verità è che i fronti populisti (a sinistra, come anche a destra) possono solo essere se stessi o sfasciarsi, non scomporsi o ricomporsi geometricamente in base a disegni “patriottici”, che però non hanno avuto nessun riscontro nelle urne e che in campagna elettorale vengono sistematicamente esclusi in nome di mitologiche “unità”, siano esse anti-fasciste, anti-sinistra e, in ogni caso, anti-liberali.

Se si va alle elezioni raccontando una storia – come il Fronte Popolare ha fatto – non si può dopo il voto svolgerne un'altra. Non si può vendere l’anima al diavolo e pensare di rimanere indenni dalle seduzioni del maligno. Non si può andare con Melenchon (o con Conte, per non dire degli altri attrezzi nostrani della sinistra antagonista) accettando che sia il suo tono a fare la musica della compagine frontista e poi sperare di potere suonare un altro spartito, più moderato, più ragionevole, più europeo.

Socialisti e riformisti grazie a Melenchon saranno pure riusciti a vincere le elezioni, ma al prezzo di perdere se stessi e di diventare la copia sbiadita dei mangiafuoco della France Insoumise. Il fatto che il Fronte Popolare non abbia raccolto la maggioranza assoluta dei seggi all’Assemblea Nazionale e non abbia portato Melenchon o un suo figurante a Matignon ha evitato alla sinistra democratica una rovina ancora più grande e definitiva, quella di sperimentare la tragica impotenza di "quella" vittoria.