Raccontare per anni e decenni qualsiasi forma di interventismo come guerra imperialista non è più maturo che raccontare qualsiasi spesa della politica come spreco della casta. Il risultato è che anche questa forma di populismo porta a passi indietro brutalmente distruttivi, animati da buoni ideali.

L’Afghanistan resterà come una macchia indelebile nella presidenza di Biden, ma è difficile trovare un tema su cui ci fosse maggiore consenso nella politica americana. Donald Trump ha appena cancellato dal proprio sito un comunicato di aprile in cui criticava Biden per i tentennamenti rispetto alla ritirata, che si sarebbe dovuta fare ancora prima. Certo, ora molti commentatori forti dell’immediato senno di poi spiegano come loro si sarebbero ritirati “in modo diverso”.

Anche ammettendo che nei pochi mesi di Biden si sarebbe potuta significativamente modificare la rotta di queste ore, nessuno può sostenere che le pressioni politiche sull’Afghanistan fossero per “ritirarsi bene”: erano tutte per ritirarsi il prima possibile. E questo a prescindere da quante truppe fossero oggi impegnate e in quali modalità.

Negli USA, da molti anni, c’è un forte consenso a sinistra e destra per il disimpegno militare, per mettere fine alle “guerre senza fine”, per una liberazione del mondo dal giogo occidentalista. E questa linea di stampo più isolazionista era già forte all’inizio del millennio, quando si affermò nella campagna di George W Bush (che paradosso pensarci oggi) su quella interventista di John McCain allora sconfitto alle primarie repubblicane. Poi l’11 settembre e l’enorme reazione che ne seguì mutarono la storia e rimandarono agli esiti della “dottrina Bush” la grande stanchezza americana per gli interventi militari, ancora più sconfortata. È dal 2008, ormai mondi fa, che prima in chiave universalista con Obama e poi in chiave isolazionista con Trump, i presidenti americani hanno accantonato prospettive occidentaliste considerate nel migliore dei casi un retaggio da anni 90.

Quel che resta è una forma di provincialismo occidentale, in cui il senso della tragedia è pressoché assente, il conflitto è rimosso se non come frutto della propria presenza (ragion per cui dove non c’è interventismo occidentale non c’è conflitto) e il mondo è ancora concepito come auto-normato e unipolare: ci sono gli USA, ci siamo noi, se non ci sono gli USA non arriveranno altri ad occupare il loro spazio per un principio di horror vacui. Non è difficile anche in questo contesto trovare chi come Varoufakis festeggia la sconfitta dell’imperialismo neocon e liberal mandando solidarietà alle “sorelle afghane”. Poche scelte più bipartisan e idealiste del ritiro dall’Afghanistan; poche scelte più ciniche e umanitariamente tragiche.