Trump 1 grande

Non c’è sostenitore di Biden né in America, né nel resto del mondo che sia davvero confortato dai sondaggi ancora favorevoli e non c’è elettore di Trump che consideri la sua rimonta impossibile. Soprattutto non c’è nessuno con un po’ di buon senso, cioè con la consapevolezza della follia della realtà politica a stelle e strisce e del carattere tutt’altro che casuale del fenomeno Trump, che pensi che qualunque risultato possa “normalizzare” la democrazia americana, cioè istituzionalizzare il trumpismo o ripristinare il business as usual pre-trumpiano.

Il trumpismo non sarebbe stato possibile senza Trump, come il fascismo non sarebbe esistito senza Mussolini, ma nell’uno e nell’altro caso mutatis mutandis ci si trova davvero dinanzi a due autobiografie della nazione, a due fenomeni, che esprimono, anche nelle manifestazioni più grottesche e posticce, una “verità” collettiva molto più profonda di quella rappresentata dai loro personaggi.

Neppure nella società e nella politica di massa delle democrazie contemporanea esistono magnifiche sorti e progressive, processi di promozione e emancipazione umana così inclusivi da non lasciarsi alle spalle macerie e frustrazioni, radici sepolte, ma non recise di tenaci pregiudizi, vittime reali e auto-dichiarate del corso degli eventi. Quattro anni fa nell’America triumphans della globalizzazione economica e dei colossi digitali, del soft power universale e dell’egemonia sui materiali e sugli immaginari della cultura di massa, del compimento dell'integrazione post-segregazionista e del meticciamento cool suggellati dalla Presidenza di Obama, è stato eletto un Presidente che ha chiamato “massacro” (carnage) il “trionfo” e ha riesumato odi e rancori economici e razziali, ribaltando il senso di inferiorità culturale e politica degli “esclusi” in una rivendicazione orgogliosa di potere.

Trump ha dimostrato che anche la democrazia più grande e forte del mondo può rinnegare il proprio superego democratico e il proprio amore per la libertà e finire nell’abisso di un subconscio collettivo ferito e offeso, che abbandona ogni inibizione e ogni vergogna e vive questo affrancamento dalla “correttezza” come una vera liberazione.

Se in fondo il sogno democratico e il sogno americano hanno finito per coincidere nell’ottimistica speranza di una chance per tutti e di un’infinita possibilità di migliorare e di migliorarsi, di arricchirsi e di realizzarsi, con Trump hanno cambiato segno. È arrivata la democrazia dela diffidenza, dell'invidia e del risentimento. Ed è arrivata per restare, anche ben fuori dai confini degli Stati Uniti. Questo fantasma continuerà ad aleggiare su tutte le democrazie dell’ex Primo Mondo, a cui la demografia e l’economia globale stanno imponendo trasmutazioni rapidissime e suscitando smarrimenti e attacchi di panico di massa, che stanno a monte e non a valle di Trump e del trumpismo e non sono solo l’illusione destinata a scomparire con l’uscita di scena dell’illusionista.

@carmelopalma