Meloni braccio grande

Alla nascita del Governo Meloni, il discorso pubblico, tendenza opposizione politica, si è “declinato” a partire dalla sua “essenza”. Questa declinazione, però, non è solo prevalentemente noiosa. Digitalmente pulsa, tutto un “corteggio informativo” da Vigilanza Democratica, che vorrebbe nientemeno evocare (ma pochissimo sapendone) la forza generativa di alcuni momenti storici.

E così aleggia il 1914/15 e l’esplosione della Grande Guerra: per gli “antiatlantici”, biennio-fucina di una parola-peccato, “interventismo”; senza troppo distinguere, in questo ammiccare autoreferenziale, fra interventismo antimilitarista, avverso alle aquile austro-ungariche, guglielmine, e all’emulo zarismo, ed interventismo nazionalista e sindacal-rivoluzionario; fra Salvemini e Marinetti, Ernesto Rossi e Papini (siamo fuori calibro comparatistico: lo so, ma ormai lascio); “buono” essendo solo il non-interventismo, nella Grande Guerra; e poco importa che questa non-scelta si innervasse di un disprezzo universale verso “le ragioni del capitale”, non a caso sfociato poi nell’accordo “di pace” di Brest-Litovsk, fra Lenin e il Kaiser; e oltre: lo stesso nichilismo pecoresco avrebbe infatti retto il successivo Patto Molotov-Ribbentrop. I fascisti? Sempre “gli altri”, e in agguato da qualche altra parte.

Lo stesso gne-gne citazionistico, con il 1919/22: tempo di Guerra Civile non dichiarata, ma in effetti combattuta, fra massimalismo socialista, a prevalere sul riformismo, e reazione fascista, posto quale monolite a se stante, quasi non avesse avuto quel contesto storico; e lasciamo stare, in questo noi-voi, le bibliografie storiografiche metodicamente ignorate o lapidate: lasciamo stare, per carità di Accademia e di Patria.

Questo discorso pubblico, dicevamo, così connotato, non è noioso, ma è addirittura spento: proprio nel senso del suo situarsi al di sotto di qualsiasi soglia biologica; un discorso da morti, per morti, sui morti.

S’intende, che non c’è nulla che lo possa accomunare, sia pure superficialmente, al discorso storiografico: che è invece dei vivi per i vivi, sul passato reso presente, cioè vivo, dal fatto di essere consultato come un vecchio saggio, e non assoldato come un teppistello, da scagliare contro la parola e per la canea.

Così il grumo rosso-bruno, onnipresente e simbiotico, non viene colto e ricordato nel suo tratto caratteristico e tuttora perdurante, vale a dire, “il comune nemico” liberale e democratico; ma privilegiando e rilanciando “le risse storiche”, che i due “colori” talvolta hanno contrassegnato, come i segni sicuri di una radicale e reciproca diversità, e non invece la momentanea contesa sorta in una condizione di sostanziale e comune ostilità antiborghese, irrazional-mitologica e, dunque, malamente e perniciosamente antimoderna. Ucraina e Russia sono solo l’ultimo palcoscenico di un antico e bilaterale secessionismo culturale e morale.

E quando fa mostra di voler declinare una critica abbigliata da una qualche pertinenza all’attuale, questo discorsetto pubblico, se possibile peggiora: e stinge in una fluorescente chiacchiera da filologia balneare, una specie di “nascita della tragedia ministeriale dallo spirito della crema solare”. O in una “bolla di insignificanza”, emanata sulla “Donna Giorgia”, a tutto vantaggio della sua carta intestata: i monofisiti negavano la doppia natura di Cristo, umana e divina; questi negano la doppia qualità della persona e della carica. È n’omo: ebbasta mò.

Come se mancassero congrue ragioni per preoccuparsi; che so, il passaggio da una leadership di rara qualità internazionale, ad una compagine piuttosto carente di un networking, che possa stare al passo con la dimensione ormai naturalmente ultranazionale dell’agire politico (sebbene in una inedita cornice di atlantismo nettamente rivendicato); una certa zavorra sul terreno dei fantasmi da Focolare del Buon Tempo Antico (ma la società italiana ha acquisito sufficiente anticorpi); la debolezza nel settore delle decisioni economiche (e però Cingolani è stato assunto come Consulente; e si sa da dove viene, come non andrebbe troppo sottovalutata, in questo contesto di non-totale-discontinuità, la consegna ss.pp.mm., da Draghi a Meloni, della “carpettina” con i dossier più significativi “per cominciare bene”). Insomma, ci sarebbe comunque di che discutere: e pressoché esclusivamente. Ma no. Non si deve. C’è “Er Fascismo”, machestaiaddí!

Perciò, simili prospezioni sull’oggi, si risolvono in altrettante estenuazioni dell’inedia, nell’eco risuonante da uno smartphone; niente di autentico, niente di consistente, niente di vivo, appunto. Questa gravità, anzi, gravezza, necrofila, allora, forse si traduce in una risacca socio-culturale così sazia e accidiosa, da non riuscire attiva e ingagliardita nemmeno quando pensa di doversi difendere, di dover stringere protezionisticamente le catene del proprio hortus conclusus. Perché, sia chiaro, solo di questo stiamo parlando.