meloni brunetta

Il centrodestra, o più probabilmente "la destra", vista la salvinizzazione della quota di maggioranza del polo e la radicalizzazione (quasi caricaturale, sia detto absit iniuria verbis) di Giorgia Meloni, si appresta a ricompattarsi all'opposizione. 

Terminata la stagione bipolare, il centrodestra si trovò compresso tra la post-politica grillina e il nuovismo renziano, ma il revival nazionalista – l'internazionale nazionalista, appunto, è felice di esser stata battezzata "sovranista", così esorcizzando almeno verbalmente gli spettri del passato – lo ha complessivamente rivitalizzato, tamponando l'invitabile, tardo-berlusconiana perdita della vocazione maggioritaria. 

E dunque contrordine camerati!, verrebbe da dire: i nostalgici "sdoganati" dal Cavaliere e dunque obbligati a una pur timida conversione al verbo liberale (conversione cui furono obbligati, dalla storia prima che dalla tirannia dell'opportunità politica, anche i compagni, com'è noto: ci furono sia Fiuggi sia la Bolognina), sono da qualche anno a questa parte felicemente tornati all'ovile. L'ovile in questione è tuttavia diventato un po' imbarazzante, specie da Roma in giù: l'interprete della risorta ma comunque rarefatta, post-ideologica destra nazionalista law&order è un ex comunista padano. Al sud la controrivoluzione sovranista attecchisce comunque fra gattopardi e baby-gattopardi (democristiani durante la tarda prima repubblica, berlusconiani dal 61 a 0 in poi, pentastellati con la bolla grillina alla sua massima estensione e adesso salviniani) pronti a fare di "prima gli Italiani!" il loro status WhatsApp e a supportare attivamente lo scelbismo da stabilimento balneare che va per la maggiore, mentre i meno avvezzi a perdonare al Capitano i trascorsi ferocemente antimeridionalisti si rifugiano sotto il tetto di Giorgia Meloni, erede legale – va riconosciuto – della tradizione missina tuttavia tragicamente "wannamarchizzatasi" per inseguire il treno del sovranismo, treno che le spettava di diritto e le è stato soffiato in corsa, come si diceva, da un ex comunista secessionista (!).

Berlusconi e Salvini si sono incrociati al Quirinale salutandosi freddamente, Meloni – sempre dal Quirinale, a riprova che se si è "grevi" nella quotidianità lo si è anche nei templi della Repubblica – ha convocato simbolicamente la piazza il giorno in cui il Parlamento voterà la fiducia al Conte bis, contrapponendo alle liturgie della democrazia rappresentativa la mobilitazione giacobina dei propri elettori o, come ama dire lei stessa drammatizzando e tradendo parecchia megalomania, "degli italiani". 

L'esplosione della bolla del salvinismo – molto probabilmente, ahinoi, solo una breve battuta d'arresto – ha rinvigorito il fronte anti-sovranista interno a Forza Italia, Mara Carfagna in testa, con i suoi ripetuti appelli a lasciare al tandem Salvini-Meloni il monopolio del cattivismo e di questo neo-nazionalismo da diretta Facebook per tornare alle vecchie parole d'ordine della destra liberale, garantismo e liberismo in primis, in risposta proprio al giustizialismo e allo statalismo penta-leghisti, e per prendere le distanze dal sovranismo anche in termini di collocazione "sovranazionale" e più generalmente geopolitica.

E del resto proprio il "Capitano", obnubilato dalla propria hybris, ha voltato le spalle ai suoi alleati, una prima volta per fagocitare dalla vetrina del Viminale (il Viminale ridotto a vetrina: quando si dice la mediatizzazione della politica) il gemello antisistema perfino più nichilista e occasionalista di lui e una seconda volta, dopo il passo falso al Papeete, offrendo a Di Maio lo scranno più alto del Governo, quello di primus inter pares, cioè Presidente del Consiglio, per salvaguardare il suo – o, per dirla nazionalpopulisticamente, per salvaguardare la sua "poltrona" al Ministero.

Dopodiché, a proposito di poltrone, c'è chi sta più prosaicamente conducendo una personale, drammatica battaglia di posizione che prescinde da qualunque ragione politica o valutazioni circa il "bene del Paese": probabilmente una buon parte di parlamentari forzisti è pronta a seguire il pur azzoppato Capitano o la Meloni verso i più sicuri (in termini non ideologici ma di cooptazione nelle liste, s'intende) lidi etno-populisti, altri potrebbero perfino valutare "verdinianamente" di approdare nella neo-maggioranza di governo.
Se prima la pregiudiziale antifascista o, specularmente, anticomunista, unitamente all'ipertrofia di un apparato partitocratico che spesso seguiva elettori ed eletti dalla culla alla tomba, minimizzavano il rischio di opportunistici andirivieni fra i gruppi parlamentari, oggi il combinato disposto della de-ideologizzazione e della "liquefazione" dello spettro politico-partitico ha lubrificato oltremisura le arterie che connettono un partito all'altro o perfino un partito al suo "anti-partito" (in tale relazione sono PD e M5S); siamo di fronte a una forma di trasformismo a briglie sciolte, potenziato ulteriormente – come se non bastasse – dal ritorno ufficiale della democrazia consociativa (in ossequio alla quale perfino il M5S è passato dall'antiparlamentarismo più oltranzista al manuale Cencelli)…

Insomma, la destra sarà forse unita nella comune ostilità alla maggioranza giallo-rossa di prossima (?) formazione, ma è squarciata dal nuovo cleavage società aperta/società chiusa e dall'istinto di sopravvivenza di "scilipotiani" assortiti.

Ormai ci si può e ci si deve aspettare di tutto – è la democrazia consociativa nell'era della post-ideologia, si diceva –, ma sarà interessante vedere, al di là delle ben note tensioni che stanno attraversando la maggioranza in fieri, anche le forti turbolenze che si apprestano a destabilizzare la nuova opposizione,  nominalmente e strategicamente ricompattatasi ma eterogenea e vulnerabile ai personalismi più che mai.