L’alleanza tra socialisti e liberali. Di fronte a un aut aut, tertium non datur
Istituzioni ed economia
Nel 2019, su Il Mulino, Peppe Provenzano e Emanuele Felice auspicavano una rinnovata alleanza tra liberali e socialisti. La lotta all'iniquità, infatti, rimane il collante decisivo che unisce il liberalismo delle (e per le) masse e il socialismo democratico. Non ci si può arrendere allo status quo, ad una interpretazione naturale dell'ingiustizia, alla "conservazione" funzionale alle rendite.
Il riformismo, infatti, appartiene tanto agli eredi di Einaudi (di Pannunzio e di Pannella) che a quelli di Sturzo e di Berlinguer. Oggi, l'accordo tra PD e Azione/Più Europa segna l'inizio vero della campagna elettorale per le prossime politiche e marca una differenza netta con altri approcci e interpretazioni identitarie della politica.
La nuova alleanza "repubblicana" non si arrende, infatti, alla deriva proporzionalistica della legge elettorale, evita di fomentare lo scontro tra le liste di diversa ispirazione progressista, rinuncia a perseguire un mero successo di bottega mentre è l'Italia che rischia di perdere, abbandonata al cartello degli interessi, proprio delle destre.
Convergere sui candidati nei collegi uninominali, infatti, significa proprio questo: complessità, pluralismo, dialogo sono essenziali per affermare una proposta politica refrattaria al populismo e alla demagogia.
I candidati nei collegi contribuiranno decisivamente al risultato elettorale e lo spirito di coalizione non potrà che essere, in tal senso, "ulivista", aperto cioè al contributo ideale di tutti coloro che si spendono per coniugare - nella modernità - libertà e giustizia.
Le destre, invece, interpretano questi valori come separati e nemici; i populisti demagoghi, per conto loro, li vogliono annullati entrambi sull'altare del decisionismo del capo carismatico. Tocca dunque, di nuovo, ai liberali e ai socialisti (lungo l'asse programmatico che lega il socialismo liberale di rosselli al liberalsocialismo di Capitini e Calogero), nel solco dell'ispirazione Democratica di Aldo Moro - che tanto si è speso per allargare a fasce sempre più ampie la partecipazione politica e l'assunzione di responsabilità diretta - mettere in campo l'agenda sociale come diretta emanazione dell'agenda Draghi.
Le due prospettive, infatti, vanno insieme : solo il lavoro attento sui conti pubblici, solo lo stimolo all'intraprendenza, solo la transizione energetica e la differenziazione degli approvvigionamenti, solo l'aggancio sentito e sincero all'atlantismo e al destino europeo d'Italia, solo il metodo pragmatico e riformista fondato - senza ideologismi - sulla revocabilità delle scelte sbagliate e sul principio "trial and error", può consentire maggiore redistribuzione, tutela dei deboli, investimenti pubblici di qualità, progresso civile e sociale.
E solo in questo quadro hanno davvero senso: reddito minimo legale, contributo di solidarietà a carico delle successioni multimilionarie, potenziamento della PA, riforma del mercato del lavoro, defiscalizzazione e decontribuzione del salario, stimolo all'impresa produttiva, attivazione di una nuova stagione di diritti sociali e civili.
E dall'altra parte? Quale è il progetto di società che ci offrono Meloni e Salvini (con il tardo berlusconismo al traino)? Abolizione del sostegno ai poveri; tasse congegnate sugli interessi dei possessori dei grandi patrimoni (con la sostanziale abolizione del principio costituzionale di progressività dell'imposta); depotenziamento dei controlli e delle verifiche sulle aziende (sempre le solite, per lo più legate agli interessi elettorali del Nord del Paese), interpretate come libere di sfruttare, di inquinare, di evadere; federalismo differenziato che certifichi, per sempre, il divario tra le diverse aree del Paese.
È questa la dialettica e la contrapposizione in atto, non c'è altro, non c’è spazio per un Terzo Polo. La buona politica, quindi, ha un duplice compito: chiarificare la "battaglia" in essere, polarizzando il dibattito e aiutando i cittadini a comprendere l'aut aut e, dall'altro, sostanziare la differenza in campo, la diversità ideologica, l'alternatività programmatica. A indicare il crinale è stato Noberto Bobbio: è l'interpretazione dell'iniquità che è dirimente.
Per le destre è originaria, invincibile, vero destino umano, rassegnazione dello status quo. Per il centrosinistra, quello di Moro, per il liberalsocialismo, quello di Capitini, per il progressismo socialdemocratico, quello degli eredi del PCI, per la cultura popolare, ambientalista, nonviolenta, riformista, liberaldemocratica, l'iniquità è invece l'oggetto della battaglia politica, l'ingiustizia da combattere, la ragione della redistribuzione, il senso dell'intervento pubblico, la "negatività" radicale che lo Stato Sociale è chiamato a colmare, coniugando libertà e giustizia nel metodo liberale.
La dialettica sinistra/destra oggi emergente si traduce, in ultima analisi, come alternativa tra Società Aperta e "Società Perfetta" (distopica). Il "terzo polo", dunque, è una chimera che confonde: non esiste un "Centro" autonomo, non esiste un'offerta "radicalista" che non sia velleitaria, elitaria, minoritaria, ininfluente. Le uniche "posizioni terze" davvero proficue - Calenda e Bonino stanno ben interpretando questo ruolo - sono quelle che arricchiscono il conflitto epocale contribuendo a migliorare - nella complessità e nel confronto - l'approccio riformista e progressista. E proprio per questo il lavoro di "Azione" oggi confluisce (nell'alleanza dei collegi) in una coalizione maggioritaria di matrice repubblicana e orientata verso il centrosinistra.
Lo stesso deve accadere per Articolo Uno, Sinistra italiana, Verdi europei. Si può e si deve rivendicare le "differenze" e le peculiarità nel voto proporzionale e di lista ma nel voto uninominale e di coalizione deve prevalere l'unità fondata sugli ideali comuni, sulle strategie economiche e sociali, sull'europeismo, sull'adesione ai principi liberali, popolari, socialisti, democratici.
Tutto il resto è populismo, demagogia, sovranismo, orbanismo. Un'altra cosa, appunto. Una "cosa" che porterebbe pian piano il nostro Paese fuori dal consesso delle democrazie occidentali. Non si tratta, quindi, semplicemente di "voto utile" ma di voto ragionato, di scelta epocale. Siamo, va ribadito, all'aut aut, ci sono solo due proposte in campo.
Da una parte la Meloni con i suoi alleati per la "democrazia illiberale", per la contrazione dei diritti civili, per le tasse livellate sugli interessi di pochi. Dall'altra parte ci sono gli "Alleati" per la democrazia sociale e progressista, per una nuova stagione dei diritti, per un'economia che cresce senza iniquità ed esclusi.
Tutto ciò che resta in campo sono "inutili distinguo" funzionali all'affermazione degli avversari. Il sistema elettorale è misto ma il conflitto politico è squisitamente bipolare. Non c’è spazio per uno pseudo centro cerchiobottista, per chi attende il momento giusto per salire sul carro del vincitore. Chi ha il coraggio delle proprie idee deve prendere parte, farsi avanti, contribuire al bene del Paese. Si confrontano due rappresentazioni di società: quella "aperta" e quella "perfetta"... e la seconda è, storicamente, sempre portatrice di un esito distopico, violento, ghettizzante.