pizza grande

Sapevo di un pranzo riparatore con cui nel marzo del 2020 il Ministro degli esteri Di Maio e l’ambasciatore francese Masset avevano posto fine alla guerra della pizza, dopo la diffusione da parte di Canal Plus di un video sulla “pizza Corona”, che irrideva l’Italia alle prese con la prima ondata di Covid. Se ne fece, in Italia, un caso di Stato, anche se la colpevole dell’affronto era una televisione privata francese, non l'Eliseo o il Quai d'Orsay. E a farne un caso di Stato fu lo stesso ministro che esattamente un anno prima era andato in Francia, forte della sua dignità ministeriale, a solidarizzare coi Gilet Gialli che bruciavano i cassonetti a Parigi.

Sia come sia, non avevo mai visto le fotografie (qui: foto 19 e 21), che nell’occasione ritraggono Luigi Di Maio mentre si esercita nella dilacerazione di un orlo di pizza, con la forchetta impugnata a guisa di flauto, ma da uno scimpanzé, a perpendicolo bifolco su quell’arcipelago di mozzarelle, e poi nell’atto di portarne alle fauci un giudizioso fagottino, sempre con quell’attrezzo maneggiato con perizia da primate e ora rivolto verso l’ignominia della lingua recipiente: e mi pare che definiscano meglio di qualsiasi strafalcione e più di ogni sproposito il profilo mondano e le attitudini civili di questo giovanotto.

Se non conoscessi l’amore per l’onestà e la legalità del Ministro – nota fin dai tempi in cui marciava su Montecitorio al seguito del suo guru, che intimava amichevolmente ai parlamentari di uscire con le mani alzate – e non fossi impegnato a corrisponderlo scrupolosamente, pubblicherei queste foto a corredo delle mie considerazioni. Ma visto che sono coperte da diritti – e la legalità prima di tutto – chiedo a chi vuole averne visione e contezza di andare sul sito della testata che le ha meritoriamente acquistate e pubblicate (ripeto - qui: foto 19 e 21). Ce ne sono anche altre, meno eloquenti, ma altrettanto rappresentative.

A chi osservasse che dopotutto si tratta soltanto di saper stare a tavola in modo appena guardabile, e che non sarà un dramma se un rappresentante istituzionale ne è incapace, obietterei che no: che se il ministro degli Esteri (Cristo santo…) avesse dimesso la posateria e si fosse dato a sbranare con le mani quel disco sbrodante, allora avrebbe fatto la figura non bellissima ma infine non oscena, non volgare, del semplice bruto piazzato incongruamente in ambito evoluto. E invece si è dato bensì all’uso di forchetta e coltello, ma secondo il protocollo spensierato del villano rifatto, lo stesso che lo induce a rispondere “very well” a chi gli domanda se parla inglese, nell’uniforme plebea della beneducazione da bigino, nell’inconsapevolezza cafona del “buon appetito” e della manina in forma di paravento posta a difendere la privacy del palicchio che lavora nell’attesa dell’ammazzacaffè.

In quell’adozione claudicante e inadeguata delle abitudini civili, una cover buzzurra e insieme supponente del criterio minimo di pubblica decenza, c’è tutta la strepitosa verità della “politica onesta”, tutta la verità del vaffanculo al potere, tutta la verità delle turpitudini sui Taxi del Mare e sulle passeggiate con i Gilet Gialli: e cioè l’ignoranza profonda e inemendabile, l’ottusità zotica, prorompente da sotto quella livrea di improbabile presentabilità da vicecapufficio, che si riscattano nel tentativo strapaesano dell’addobbo piccoloborghese.
Fotografarli mentre onestamente mangiano al loro modo, ecco ciò che basta per misurarne l’affidabilità.