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La riflessione di Alex Minissale su Strade ha il pregio di essere un intervento “generale”, di prospettiva alta. A fronte di tante riflessioni su pur importanti aspetti politici specifici e settoriali, assume un interesse peculiare l’esercizio di una visione globale, ideologica nel senso buono del termine e aperta ad un contributo di “sistema”.

Questo approccio mi riconduce alle categorie della politica e a quelle del ‘politico’ e, se possibile, vorrei in qualche modo interloquire (e dissentire) con l’autore, accogliendo le sue intelligenti provocazioni. Provocazioni che, dal mio punto di vista, non possono che coinvolgere - nell’ottica di implementare il dibattito sull’instabilità della politica italiana – anche la specie dei liberali "puristi" e neutrali, ostili alle contaminazioni strategiche, ciechi innanzi al rischio del "peggio" che avanza e non meno coinvolti, a mio parere - accanto ai populisti e ai sovranisti - nella crisi politica italiana.

La politica e il ‘politico’, dicevamo; ed in effetti la differenza è enorme: qualifica l'approccio e distingue i competenti dagli avventurieri. Chi si occupa davvero di politica (e non della propria carriera sostenuta da qualche sponsor dietro le quinte) sa che ogni contrapposizione elettorale cede di fronte alle buone idee, alle buone prassi, al bene del territorio, all'interesse pubblico. Chi si occupa di politica sa anche rinunciare alle proprie ambizioni per ottenere un buon accordo, un buon compromesso, un governo di coalizione che responsabilizzi tutti gli alleati.

Chi, invece, è interessato esclusivamente alle categorie del ‘politico’ (termine neutro ma non neutrale in sé, per ciò, illiberale) sa vivere solo della associazione/contrapposizione amico/nemico, squalifica i critici come avversari, si circonda solo di solerti "subordinati", riduce l'offerta elettorale al "sé stesso", mortifica ogni speranza di unità tra “diversi” spinti da un obiettivo comune e superiore. Su questa distanza dovremmo imparare a misurare l'offerta politica, con questo "metro" dovremmo scriminare tra consenso libero e consenso estorto, drogato, inquinato, acquistato, preteso, offeso.

I fautori della politica come tradizione che si oppone per statuto alla violenza (così la intendeva, tra gli altri, Hannah Arendt) non vanno a caccia di voti ma nobilitano il voto d'opinione, stimolando il dibattito fecondo; il "neutro" del ‘politico’, invece, azzera il dibattito per concepire il voto come conquista e sottrazione. La dialettica dell'epoca, infatti, non corre semplicemente lungo il crinale Destra/Sinistra (magari fosse solo così !) ma si rende tortuosa, dividendo i fronti attraverso il pungolo ricattatorio che si fa “ago della bilancia” (il classico cerchiobottismo) e attraverso l'esaltazione dell’identità, della “fuga in avanti” allergica alle dinamiche di partito e della “sintesi” tra i partiti, di chi nega le fatiche, appunto, del compromesso che rinsalda i "simili", per affermare i propri interessi, a danno di tutti.

Il Governo Draghi, l'esecutivo di tregua istituzionale, tra i tanti effetti positivi dal suo insediamento, sta contribuendo, per fortuna, ad un riposizionamento ordinato degli assetti. I sovranisti diventano europeisti e i populisti (privi degli aculei estremistici di Dibba e co.) si avviano gioco forza verso una compiuta normalizzazione, verso il dialogo strutturato con il Centrosinistra con, in prospettiva, la guida del “movimento” in mano al "democristiano"  Al di là, infatti, della apparente strumentalità delle conversioni in corso, ciò che politicamente conta è la prossima entrata della Lega nel PPE e la nascita di un Intergruppo parlamentare della “Sinistra” che si pone l’obiettivo di portare su un tavolo comune di confronto i temi di iniziativa comune.

E ha fatto bene Giorgia Meloni a chiedere ai suoi alleati di Centrodestra (che per ora nicchiano) di replicare a “Destra” l'esperienza dell'Intergruppo PD/M5S/LEU. Questi percorsi concorrono meritoriamente, infatti, alla formazione di un nuovo bipolarismo con caratteristiche schiettamente europee: le estreme vengono isolate e i centristi sono spinti alla decisione per l'una o l'altra parte.

A tutto questo - e si spera che anche in questo contesto il Governo possa fare la sua parte - andrebbe aggiunta una legge elettorale uninominale maggioritaria (o una proporzionale con un'alta soglia di sbarramento) che spinga all'unione piuttosto che all’esaltazione dei distinguo.
Che senso ha, quindi, invocare l'esigenza - in questa fase - di posizioni terze? Che senso avrebbe un terzo polo (dopo l’apocalisse del ‘terzo polo’ grillino)? Chi rappresenterebbe?

Mentre le democrazie occidentali rinsaldano i ranghi del multilateralismo e dei valori liberali e democratici, che “valore” hanno i distinguo tra democratici, riformisti, socialisti, europeisti, cultori dello Stato di Diritto contro la Ragion di Stato dei sovranisti e dei fautori delle democrature illiberali?
Il populismo di sinistra è ormai morto in Europa (forse davvero non è mai davvero nato, illuminandosi in Italia solo come ‘fantasma’ mosso dagli incubi di un comico e di un distopico del web) ma la demagogia destrorsa e illiberale, invece, è sempre lì, foraggiata da Putin, sostenuta ideologicamente da Orban, speranzosa nell’eterna ribalta della Le Pen.

Non sarebbe auspicabile, dunque, lavorare insieme per una “contrapposizione” matura che conquisti posizioni al "centro", in modo che l’unica "posizione terza" davvero utile - quella del buon senso e del pragmatismo - fecondi le due “parti”, contribuendo a ghettizzare le estreme?
È il sacrificio dell'identità come feticcio (dei buoni e giusti) che continua a palesarsi come necessario e proficuo. È il destino di tramonto e transito che è proprio delle “grandi idee” capaci di ibridare, innestare, produrre e contaminare - nell'evoluzione - il dibattito pubblico, portandolo ad un livello più alto, smussando gli assunti “propri” per affermare la strada dell'accordo, del compromesso utile ad allargare - il più possibile - la platea democratica degli interessi e dei contributi per il futuro del Paese.

In Italia è questo il percorso auspicabile, questo il senso "politico" di prospettiva dell'esperienza governativa di salute pubblica: l'affermazione di una sana alternanza che allontani il rischio - sempre presente qualora prevalesse il populismo demagogico e il centrismo ricattatorio - del cambio di sistema operato da chi, giunto al potere con mezzi legali, congiuri per disgregare dall'interno, in modo surrettizio e simulatorio, l'assetto costituzionale repubblicano che si fonda, occorre ribadirlo, su una “legittimità politica” che non può riconoscere peso significativo a forze antisistema e autoritarie che hanno tutto l'interesse a rinsaldare i ranghi identitari, nel mentre prolifera un'offerta politica frammentaria e litigiosa.