Oligarchismo e populismo, instabilità politica e sistemi istituzionali. Il caso Italia
Istituzioni ed economia
Quale impatto ha l'architettura istituzionale del Belpaese su domanda e offerta politico-partitiche? Nel 2018 gli elettori tributarono ai nazionalpopulisti – tandem salvinian-meloniano e grillini – più del 54% dei consensi, eppure qualunque pericolosa deriva visegradiana/chavista è stata disinnescata sempre e solo con operazioni di palazzo possibili in virtù della natura "kelseniana" della nostra democrazia.
Nel Conte I, il Capo dello Stato commissariò il Ministero dell'Economia e delle Finanze – rischiando perfino la messa in stato d'accusa, ammesso e non concesso che Di Maio andasse preso sul serio. A cavallo fra il Conte I e il Conte II fu possibile evitare che Salvini capitalizzasse in quei "pieni poteri" da lui stesso evocati, il 40% cumulato dal Viminale tramite una seconda operazione di palazzo (potremmo battezzarla "operazione anti-papeete").
Da ultimo, è stato possibile strappare dalle mani di Conte-Casalino l'elaborazione del Recovery Plan e affidarla a quelle del salvatore dell'Europa (!) tramite la terza – l'ennesima, la più delicata – operazione di palazzo, che è costata a Renzi, che vi ha preso parte probabilmente nel ruolo di ariete e forse co-regista, una seconda character assassination (assassinato due volte, potrà mai risorgere?) e a Mattarella l'impiego di tutto il suo know-how primorepubblicano e perfino del suo patrimonio relazionale (l'amicizia fra lui e l'ex presidente della BCE è nota). Ecco, la legislatura s'è avviata con un governo ferocemente antieuropeista – si arrivò perfino a stampare i fac simile di una moneta parallela – e si appresta a concludersi con uno dei governi più europeisti di sempre.
Alla luce di questa e altre parabole, proporzionalismo e "instabilità istituzionalizzata" degli esecutivi sono ancor oggi anticaglie da secondo dopoguerra da "correggere" o sono il sistema immunitario della nostra democrazia rappresentativa? Possiamo permetterci che il cittadino-elettore sia "arbitro della scelta dei governi" (così Roberto Ruffilli)? E allora andavano bene, fra gli altri e ciascuno in misura diversa, il semi-presidenzialismo di D'Alema, magari il premierato di Berlusconi e certamente, va da sé, il pur bocciato dalla Consulta "ballottaggio per il sindaco d'Italia" di renziana memoria in combinato disposto con un monocameralismo de facto e qualche strumento di stabilizzazione dall'esecutivo così come previsti nel ddl Renzi-Boschi.
Oppure negli ultimi trent'anni hanno sempre avuto ragione, col senno di poi e magari solo incidentalmente, le star del conservatorismo costituzionale? Oppure – chi può dire il contrario? – è proprio di un sistema "poco decidente" e strutturalmente instabile deresponsabilizzare elettori ed eletti così radicalizzandone rispettivamente pretese e storytelling/azione di governo?
I paragoni (con gli USA, l'UK, la Germania ecc) lasciano il tempo che trovano: troppi sono i fattori per così dire extra-istituzionali determinanti per il soffocamento in culla o comunque la buona "ammortizzazione" delle pulsioni antisistema. Qual è la migliore architettura istituzionale per l'Italia o, meglio, per gli italiani?
Ce lo si chieda ancora una volta, in conclusione: si tratta di un popolo così immaturo da non potersi permettere qualunque forma di democrazia competitiva – e perfino l'unica, sgangherata stagione "dell'alternanza" che si concesse fu funestata da ribaltoni, da una personalizzazione esasperata, dalla delegittimazione reciproca e si risolse in un commissariamento – oppure, al contrario, è il sistema politico-istituzionale che lo infantilizza?
Mario Draghi è il miracolo antipopulista che ci siamo potuti permettere in virtù del "coefficiente di oligarchismo" della nostra democrazia o è stato quest'ultimo a determinare, indirettamente, che in parlamento e al governo si siano trovati, nel corso di una delle stagioni più drammatiche della storia della Repubblica, figure di cabotaggio assai più modesto?