L’uomo più odiato d’Italia ha prodotto una svolta che ha portato sulle soglia di Palazzo Chigi, non ancora dentro, un commissario straordinario chiamato a rimediare ai disastri di un Governo ridicolo e di un presidente grottescamente popolare (fino a ieri).

La natura oggettivamente provvidenziale di questa svolta – nel pieno di una duplice emergenza sanitaria e economica incontrollata dal Governo uscente, che però ne aveva tratto una rendita di legittimazione e pure di favore popolare – ora si scontra con l’oggettiva debolezza del sistema politico, che dovrebbe supportare in Parlamento e anche fuori un’azione di governo tutt’altro che neutrale, ma duramente alternativa a quella a cui i partiti, di destra come di sinistra, si erano abituati e avevano abituato il popolo: marchette, mancette, statalismo straccione e gesticolazioni para-belliche contro i “nemici dell’Italia”.

Draghi, per riuscire a fare quello che deve fare, deve riuscire a spiegare agli italiani perché deve farlo: perché il nemico dell’Italia è l’Italia, perché tutto quello che non funziona e disfunziona è inscritto, per così dire spiritualmente, in scelte politiche dove iattanza e rinuncia, assurde pretese e paralizzanti paure, si sono combinate in un mix tossico e hanno intossicato e indebolito il corpo sociale e civile di un Paese allo sbando.

Però per riuscire in questa impresa Draghi deve in primo luogo trovare i voti in Parlamento per insediarsi e per avviare un programma di risanamento. E non potrà farlo, ovviamente, sotto la quotidiana minaccia di partiti che pretendano di intestargli, per esempio, la proroga di quota cento, gli espropri proletari delle autostrade, e il marchettificio particolaristico di leggi di bilancio o magari di un Recovery Fund “un po’ per uno”.

Dopo la mossa di Renzi, che l’ha portato sulla soglia di Palazzo Chigi, adesso Draghi è consegnato alle mosse dei partiti per cui la sua stessa presenza in scena suona come una terribile condanna. L’impressione è che più che persuaderli, debba “convertirli” e poi convertire gli italiani ad una visione più onesta e realistica dei problemi del Paese e a una fede più ottimistica nelle possibilità dell’Italia.

Il Whatever it takes per la salvezza dell’Italia è il contrario di ciò che la sta portando alla rovina, cioè di ciò che l'Italia ha per due decenni fatto di se se stessa. L’impresa di Draghi non sarà quella di fare ciò che deve, ma di rendere questo programma “democraticamente compatibile” in un Paese in cui oggi manifestamente non lo è. Praticamente un miracolo, molto più complicato di quello compiuto da Renzi per portare il Quirinale fino a Draghi.