Dal ‘cambiate mestiere’ al ‘coperto di Stato’. Ristoranti e paternalismo di Governo
Istituzioni ed economia
Circa quindici giorni fa, il Viceministro dell’Economia, Laura Castelli, suggeriva, ai ristoratori che, per effetto delle disposizioni governative, avessero riscontrato clientela insufficiente a sostenere almeno i costi aziendali, di “cambiare attività”. Dopo una qualche risentita reazione, dovuta, se non altro, alla infelice rudezza della formulazione, la diretta interessata, e un buon numero di chiacchierini intervenuti a sostegno, salmodiarono sulla saggezza dell’uscita castelliana: evocando una sorta di Mercato-Giustiniano, capace di togliere “il troppo e il vano”.
Obiezione pelosa, dato che, in primo luogo, sulle “macellerie sociali”, spettro demagogico fatto starnazzare ad ogni ipotesi pallidamente riformistica formulata negli ultimi trent’anni, si sono costruite intere mitologie pseudosolidaristiche: proprio ad opera dello stesso agglomerato socio-digitale oggi al suo apogeo storico-politico-governativo: e, sia detto, in rapporto di filiazione diretta fra Alleati Maggiori e Alleati Minori: dato che la Sinistra italiana, in parte pure quella comunista, non sempre e non tutta nel periodo repubblicano, è stata questa Disarmata (e disarmante) Brancaleone, ormai appagata di stagnare nel presente nullismo; volto a “tagliare” il Parlamento, erigere forche processuali perenni, e “clientelizzare” lo spirito e il corpo di asservite moltitudini, con una furia e una lubríca dedizione, da far sembrare la “migliore” DC poco meno che una sobria dilettante.
Sicchè, a ben vedere, risulta irricevibile e apertamente sconcio quel sussiego liberal-libresco (a tutto voler concedere).
E tanto più, in secondo luogo, che l’inefficienza gestionale, per cui i costi sopravanzano i ricavi e, dunque, l’uscita dal mercato si pone nei termini di un fisiologico ricambio del nuovo col vecchio (o del più finanziariamente equilibrato col meno), vale in condizioni di tendenziale normalità; quando, cioè, le grandezze macroeconomiche fondamentali rimangono entro una “banda di oscillazione” statisticamente ragionevole.
Quando, invece, solo per citare la più nota, sul PIL si annunciano cali fino al 12%, evocare la saggezza regolativa di domanda e offerta, è solo una cretineria insolente, degna della fonte e dei suoi rigagnoli. Tale postura, tuttavia, è di grande interesse perché mette in scena una sorta di “liberalismo per vendetta”: dove il “ben ti sta”, risulta essere il senso primo e ultimo di quelle scempiaggini. E così siamo al punto. La consueta insipienza viceministeriale, tradisce infatti una tendenza così vasta e profonda, da giustificare anche una locuzione impegnativa come “cambio di paradigma”. Ed è questo il piano su cui ci si deve soffemare.
Nel giro di cinque mesi, non è esploso un dirigismo politico-economico, più o meno indotto da una necessità sanitaria. No no: hanno invece trovato irrefrenato sbocco in superficie, i sostrati più profondi della pigrizia malevola; della furbizia spicciola e pur capillarmente diffusa; della biliosa ostilità verso la “ricchezza percepita” (o immaginata) dell’Italia Bottegaia (comprensiva di larghissima parte dell’antico terziario, professionismo medio e proletario compreso), a lungo presente a partire dal gioachimitismo no-global del Dopo-Muro (ma più o meno contenuta entro un passabile svolgimento), e invece ora innalzatasi, specialmente in Italia, a dimensione leviataniche, impudenti, compiaciute, e con piglio da “resa dei conti”.
E torniamo al campo, esemplare, della ristorazione: a quindici giorni dalla lezioncina paramanchesteriana, segue il rimborso “lineare” del coperto (il 20%), o giù di lì. L’apparente antinomia si svela, e si appiana, facilmente; con l’invito a “cambiare mestiere”, ha fatto capolino la ripartizione espropriativa del “Caso Straordinario”, cioè il “suicidio suggerito” del mercante-professionista-evasore (e puttaniere, nel tempo libero, sempre cospicuo per chi “lucra sul lavoro altrui”). Con “l’aiutino a piè di lista”, occhieggia la tessera annonaria.
In entrambi i casi, nella impossibilità (ora ribadita e ulteriormente prorogata col Decreto Agosto) di “cambiare mestiere” per qualsiasi lavoratore dipendente (il divieto di licenziamento); e, rispettivamente, a fronte di una “sistema” dello smart-working di cui è semplicemente impossibile appurare la produttività, pur a fronte di un reddito rimasto, al 100%, tale e quale era prima: a parte, il reddito di cittadinanza, che pure, la sua bella parte, consolida una fossilizzazione antropologica niente male, per chi straparla di “cambiare”: mestiere o vita che dir si voglia.
La contraddizione parolaia è, pertanto, è una reale tenaglia che, da punti diversi, converge verso un “centro strangolatore”.
Tutto questo sta accadendo entro una bolla. Di diffusa levità verso il prossimo futuro (pistolotti igienico-politici del Digitatore Medio Colto Collettivo, a parte). Il fabbisogno finanziario di parte corrente, è passato, rispetto allo stesso periodo del 2019 (primi sette mesi dell’anno), da 30.1 a 102.4 miliardi, più che triplicandosi; le provvidenze europee, proprio per la loro enormità, seriamente rischiano di trasformarsi col loro stesso peso, in una degradazione stabile del cd Sistema-Paese, una volta che il criterio predominante è quello della “tesserizzazione”. Non bisogna, in effetti, troppo titillarsi con la distinzione fra “fondo perduto” e “debito agevolato”; conta la resa economico-finanziaria delle risorse, non il loro formale statuto giuridico. Se i soldi non si fanno fruttare, marciscono, e diventano muffa in proporzione. E i nomina iuris restano sulla carta.
Ovvio che gli altri stati, pur entro la problematica cornice europea, agiranno sul duplice e irrevocabile registro della competizione di fatto, in veste di solidarietà di diritto (gli olandesi sono solo un Grillo Parlante). Ed è in questo dinamismo che si stabilirà se avremo più debiti o più soldi: non fra le carte da bollo.
Presto comincerà una guerra, chiamata “competizione”. E chi non vorrebbe, e non vorrà, competere, con chi ha deliberatamente fatto della rinuncia a competere la propria ragione politica e culturale? Il proprio trofeo bilioso-vendicativo sul Nemico Individuale? Posto a fondamento della sua dottrina economica il Diavolo-Evasione Fiscale (le davighiane “dieci milioni di condotte tipiche” vengono da lontano, e vanno lontano)? il contante-Sterco-del-Demonio? L’assistenza morfinica e psichedelica di una Decrescita Felice?
Finirà molto male, se non mettiamo mano alle mani.