de Luca Fontana grande

Per un mese la divisione dei poteri sull'emergenza Covid-19 è stata negoziata politicamente da Conte con i diversi governatori senza nessuna cura dei limiti e dei poteri istituzionali delle Regioni e delle responsabilità dello Stato.

Si è giunti anche a istituzionalizzare di fatto una pratica di negoziazione degli ambiti di competenza tra Stato e Regioni totalmente priva di supporto giuridico-costituzionale e ad autorizzare il coprifuoco fai-da-te di regioni e perfino comuni (in questo caso, con alcune eccezioni) autoproclamatisi, ciascuno per proprio conto, rappresentanti e difensori degli interessi delle rispettive comunità.

Il risultato è che il sistema ha tenuto in base a un mero principio di non belligeranza, che ha retto nella fase del lockdown, ma che non reggerà nella fase della riapertura. Ma a quel punto sarà difficile ristabilire chi può fare cosa, perché per due mesi si sono autorizzati tutti a fare tutto.

I governatori (rectius: presidenti di regione) e i sindaci che hanno “chiuso” più di quanto “chiudeva” lo Stato, oggi, per la stessa ragione, pretenderanno di “aprire” di più e prima (come nel caso delle regioni del Nord) ovvero di tenere “chiuso” contro le indicazioni nazionali e in particolare di “chiudere” ai cittadini delle regioni nel frattempo apertesi (come nel caso di Campania e Calabria). D’altra parte il Governo Conte II non solo entrerà in grave contraddizione se mai vorrà imporre una disciplina comune fino a oggi inesistente, ma sarà pure privo dell’autorevolezza necessaria per imporre un’inversione rispetto alla logica, fino a oggi accettata, dell’ognuno per sé.

Il federalismo all’italiana, nato sotto la cattiva stella del particolarismo territoriale, anche in questa occasione sta dando pessima prova di sé. “Federale” in Italia è sinonimo di “locale”, quando dovrebbe essere sinonimo di “generale”, ad indicare una sovranità condivisa su problemi comuni, anziché una polverizzazione di istanze di controllo e di governo su fenomeni che eccedono di gran lunga i poteri formali e le possibilità reali di comunità politiche regionali.

Per ironia della sorte, un’emergenza iniziata con la chiusura delle frontiere esterne proseguirà con la possibile chiusura delle frontiere interne, sulla base di decisioni unilaterali e non coordinate, che di fatto sospendono proprio in un periodo di crisi l’unità politica e giuridica dello Stato in nome di principi costituzionali – dal diritto alla salute alle libertà fondamentali di iniziativa sociale e economica – che certo non possono considerarsi differenziabili su base comunale e regionale.

Accanto all’uso sconsiderato degli atti amministrativi – gli ormai mitici Dpcm e le ordinanze di presidenti e sindaci – su materie coperte da riserva di legge, la "secessione pandemica" delle regioni e magari dai comuni dallo Stato è l’ennesima conferma che la confusione istituzionale, in Italia, non è un problema a sé, ma una causa in sé di molti dei nostri problemi, della nostra ingovernabilità e dei nostri fallimenti.

In Italia, di fronte a una pandemia planetaria, comandano i cacicchi e la logica dell’ognuno per sé. E purtroppo la cosa non è indifferente ai fini dei risultati disastrosi del “modello italiano”.

@carmelopalma