populismo big

Pochi giorni fa a “Porta a Porta” il ministro Gualtieri ha dichiarato che con la sua manovra ci guadagna l’Italia e ci perdono solo gli evasori. Ha anche informato il Paese che le coperture saranno in gran parte offerte dalla “flessibilità europea” (che è un nuovo concetto economico). Tuttavia, a quanto risulta, parte consistente delle coperture (o almeno di quelle che non sono state trovate in deficit) verrà dalla “lotta all’evasione” mista a  varie e inedite “microtasse”.

Il feticismo per le tasse buone e giuste e per la lotta all’evasione come principali, efficaci, ma soprattutto probe fonti di risorse è sempre stato uno tra le più popolari chimere e i più consolidatimiti della sinistra italiana.

Nella progettazione di questa ultima manovra di bilancio, tuttavia, questo totemismo sicuramente fariseo, un po'stucchevole, un po’ ingenuo, è stato surclassato e si è arrivati a nuovi estremi.

Il governo, prima di iniziare la trattativa con le forze parlamentari, si aspettava di ricavare circa 3 miliardi dalla lotta all’evasione, circa 200 milioni dalla “sugar tax” sulle bevande zuccherate e circa 1 miliardo dalla “plastic tax”.  In tutti questi casi, tuttavia, è corretto affermare che questi non sono provvedimenti che potranno efficacemente contrastare i comportamenti che si prefiggono di scoraggiare, ma sembrano meri “tappabuchi” morali. La finalità che accompagna gli incensamenti di questa proba lotta ai lestofanti evasori e consumatori di Coca Cola è - si potrebbe forse dire - quasi espiatoria.

Non solo grazie alla solita retorica esaltata e manichea del Movimento 5 stelle, ma anche grazie alla sostanza dei provvedimenti (attuati, minacciati o promessi) la manovra che si sta prefigurando non sembra un esercizio di bilancio, ma al limite un rito lustrale, che cerca di purgare catarticamente le inefficienze economiche italiane (quelle causate sia dai gialli che dai rossi che dai verdi) attraverso tasse purificatrici.

Se si esamina la “Sugar tax” (ma anche la plastic tax), in particolare, come viene intesa dai vari esponenti di Governo, si vede il paradosso di una tassa teoricamente pigoviana, i cui proventi sono, tuttavia, reclamati dal ministro Fioramonti per un duraturo maggiore esborso per la scuola. Addirittura per entrambe le tasse il Governo, secondo le ultime indiscrezioni, prevede introiti maggiori per l'anno 2021.

La “Sugar tax" si manifesta, dunque, sì chiaramente stralunata nei suoi intenti, ma anche indice di una nuova concezione etico-economica. Infatti, se il governo stesso pensa di ottenere da tale tassa un esborso costante nel tempo sta, di fatto, ammettendo che la tassa in questione non è una tassa pigoviana (volta a diminuire le esternalità negative di un dato prodotto, o a modificare le abitudini di consumo); la tassa introdotta sarebbe, dunque, una tassa su un bene dalla domanda anelastica volta semplicemente a fare cassa, un “tappabuchi” quindi. Tuttavia, nei melliflui discorsi di Conte e nelle esternazioni di Fioramonti, questo provvedimento mantiene un'aura morale, qualcosa di pio ed etico, esentato a priori da qualsivoglia possibile critica. Se, a rigor di logica, come evidenziato sopra, l’intento non può essere quello di indirizzare i consumi (poiché si prevede che la tassa generi un gettito costante e in parte consistente), l’unico altro scopo etico intuibile dell’imposta è meramente punitivo.

Viene così tradotto in materia fiscale il racconto autoassolutorio populista che concepisce la collettiva punizione della classe dirigente attraverso tagli di parlamentari e di vitalizi, e galera per tutti come catarsi politica per propiziare il benessere rubato del Paese. Tanto che non solo le risorse dovrebbero saltare fuori con la minaccia delle manette (per quanto riguarda la lotta all’evasione), ma si introdurrebbe un sistema impositivo manicheo e punitivo, nel quale il castigo per i comportamenti immorali di alcuni (evidentemente incoercibili: se no, addio gettito) dovrebbe redimere la fiscalità collettiva.

Una manovra per metà finanziata in deficit (la “flessibilità europea”) e per la restante metà in gran parte attraverso la punizione dei cittadini poco virtuosi è una prova dell’irresponsabilità della classe di governo per i propri impegni e doveri, unita, paradossalmente, al moralismo fariseo nei confronti dei vizi altrui.

Questa unione è evidente anche nel fatto che nel medesimo decreto, da una parte, siano previste le manette per punire il comportamento fiscalmente irresponsabile degli evasori, dall’altra, vengano stanziati i 400 milioni per Alitalia (comportamento questo sì fiscalmente irresponsabile per uno Stato come quello italiano): l’apparente contraddittorietà trova, in realtà, una spiegazione in un rapporto di alienazione nei confronti della colpa e della responsabilità (e quindi della libertà), rapporto che si tenta di camuffare attraverso un intransigente rigorismo moralistico verso vizi e difetti.

L’economista americano Greg Mankiw, grande sostenitore delle tasse pigoviane, riteneva  che, al contrario, la Sugar tax, o più precisamente la “Soda tax”, (così come le tasse sul fumo) non fosse una tassa pigoviana, ma una “Sin tax”, fatta (se fatta bene) per proteggerci da noi stessi; ma l’economista chiedeva anche  “do you trust the government enough to appoint it your guardian?”.

Tralasciando questo interrogativo, la concezione che trapela dalle varie dichiarazioni degli esponenti di Governo – dalle quali sembra  intuirsi, appunto, che la tassa non avrebbe una funzione di ridurre le esternalità negative cambiando le abitudini di consumo -  è esattamente quella di una “Sin tax”, di una tassa sul peccato.

Il problema di una tassa il cui intento è principalmente, all'evidenza, punitivo è anche, in un certo senso un problema di “laicità”.

Il libero mercato è - si potrebbe forse azzardare - un sistema “laico”, privo di giudizi o impostazioni morali  preconcetti. Sua caratteristica fondamentale è la libertà di interazione e di scambio, tutti i valori e i giudizi sono immessi liberamente al suo interno dalle persone e dai gruppi che lo animano e che vi operano. Molti (tra cui spesso anche esponenti dei partiti che ci governano) amano criticare il sistema consumistico immorale e corrotto del capitalismo; questa critica, tuttavia, se fosse sviluppata in modo più onesto,  in realtà non dovrebbe essere rivolta al “sistema” (che è semplicemente la libertà), ma agli uomini stessi: parafrasando Oscar Wilde si potrebbe  ironicamente affermare che “L’avversione del XXI secolo per il consumismo è la rabbia di Calibano che vede il suo volto riflesso in uno specchio”.

Inserendo tasse che non hanno una funzione pigoviana oggettiva, ma che hanno un mero scopo etico, catartico, o addirittura punitivo in un sistema “laico”, si distorce, in un certo modo, la “laicità" del sistema con un moralismo ipocrita imposto intenzionalmente dall'esterno.

Il Governo giallo-rosso sta, neppure troppo timidamente, iniziando a costruire un mostro: procede alla creazione di un mercato, di una economia, di una fiscalità contaminati dal giustizialismo e dall'integralismo morale.

Nel sistema fiscale italiano si sta iniettando il populismo e il giustizialismo che avevano già caratterizzato molti altri ambiti della cultura e delle istituzioni italiane, e che avevano riguardato la fiscalità principalmente per via della retorica “antievasione”. Il sistema della tassazione viene in parte inteso dal governo giallo-rosso come un sistema non tanto redistributivo tra ricchi e poveri, sibbene volto a premiare i cittadini virtuosi grazie alla punizione riservata a quelli viziosi.

In questo modo un elemento chiaramente etico e morale, e dunque personale, entra - pericolosamente imposto dallo Stato - in un sistema che dovrebbe quanto più possibile essere laicamente “oggettivo” e “funzionale”.