conte grande

Nel corso di questa crisi, decisiva e non semplicemente anomala, come con corrivo eufemismo sovente si afferma, si è detto e scritto che la Costituzione prevede una Democrazia parlamentare, e non diretta (da plebiscitaria e acclamante, a presidenziale e ancora votante, nelle varie possibili formulazioni); e che, perciò, il Governo  si forma a partire dalla volontà dei Gruppi Parlamentari (i partiti presenti in Parlamento), raccolta dal Presidente della Repubblica, e da cui Egli secerne la nomina del Presidente del Consiglio incaricato; affinchè Costui, chiudendo il cerchio, si presenti alla Camera e al Senato, per chiedere di istituire legalmente il Governo della Repubblica, mediante il loro voto di fiducia.

Si è negato, pertanto, che il mutamento di maggioranza in costanza di Legislatura sia illegittimo; o anche solo disarmonico rispetto al cd spirito della Costituzione: qualcosa di più della lettera, giacchè attiene ai fondamenti politico-culturali che ne ispirarono la gestazione e la scrittura. E che, emersi e affermati sul duplice crinale Moltitudini/Parlamento, Legislatore Sovrano/Governo Autocratico, segnano, più che un criterio, un perimetro; o, se si vuole, il criterio dei criteri: Dittatura/Democrazia.

Sul piano del corrente dinamismo politico, si è, ancora, affermato che la condotta dell’ex Ministro Salvini, ha reso indispensabile il suddetto mutamento politico: data la piega catilinaria presa dal Governo Lega/M5S, egemonizzato dalla componente “verde”, che era riuscita a confinare la sua componente “gialla”, tuttavia prevalente e gravata da maggiori responsabilità (giustappunto parlamentari), ad un ruolo di passiva e complice validazione dell’insieme.

Ciò, Salvini, aveva fatto, piegando poteri istituzionali alla costruzione di una propaganda permanente, e di natura paranormativa: decretazione d’urgenza senza urgenza; spregiudicato uso/abuso del potere direttivo-funzionale, fino al parossismo della diramazione via Tweet di comunicazioni gerarchiche, come, ad es., nel cd Caso Diciotti.

Inoltre, dandosi a sollecitare, clamorosamente nelle forme, obliquamente nei fini, esiti miliziani dei Corpi armati dello Stato, con speciale riguardo alla Polizia. Con l’insistita riduzione dei colori d’istituto a gagliardetto personalistico; con la reiterata professione di partigianeria acritica, nei conflitti, talvolta reali, più spesso potenziali, che, in una distorta rappresentazione della relazione fra potere coercitivo e singolo indiziato, vellicava una distanza incolmabile, da superare solo con una statutaria (e statuaria) prevalenza dell’Apparato sull’individuo (i numerosi “io sto con...”).

Fin qui, tutto giusto. Ma, da qui, molto meno.

Entro una cornice europea, nella quale gli ultimi risultati elettorali hanno indicato una significativa presenza, ma non una prevalenza, delle forze politiche nazionaliste, l’improvviso scivolone di Salvini ha fecondata la nuova maggioranza: con sperimentata cedevolezza, molti commentatori (autorevoli la loro parte, corrosi da fiacchezza e grigiore, la restante), hanno finto di considerare “le comunicazioni” agostan-senatoriali del Presidente Conte, come una meditata e radicale rivisitazione della Democrazia Parlamentare (il proclamato “parlamentarizzare la crisi”).

Con questo abbrivio, si è isolata una delle componenti catilinarie espresse da Salvini, ma sostenute dal M5S, e cioè, la miserabile (e dispotica) gestione della questione migratoria, facendo, come si dice, sparire dal radar ogni altro suo aspetto; e, prima degli altri, il primo e fondamentale: proprio il ruolo, la dignità, il valore legale del Parlamento.

Il punto di coagulo di questa sparizione/operazione, ridiede nella procedura, deliberatamente sovversiva, con cui in queste ore, com’è noto, si sta “integrando” il procedimento di nomina del nuovo governo: il cd Conte bis. Lo sfondo, l’annunciato, violento, più catilinario del Catilina Padano (in ogni caso, d’accordo), “taglio lineare” del Parlamento; senza alcun contesto di riforma, senza alcuna considerazione degli equilibri “elettivi” che, dalle Camere, ridondano su Presidenza della Repubblica, Corte Costituzionale, CSM, possibili, ventilate riforme costituzionali.

E, dunque, sul complessivo, perdurante carattere democratico della Repubblica.

E siamo tornati da dove eravamo partiti. Al carattere decisivo, e non meramente “anomalo”, di questo passaggio storico-politico.

Si è, al riguardo, rilevato che, in fondo, come ogni altro partito, anche il M5S può consultare la sua “base”. Si può, intanto, obiettare, che l’art. 49 Cost. vincola la giusta partecipazione politica di “tutti i cittadini”, al “metodo democratico” delle organizzazioni cui danno vita. Al riguardo, basti qui rammentare i risaputi rilievi del cd Garante della Privacy, per negare alla Piattaforma Rousseau un tale dirimente carattere: se il “voto” si può violare, non essendo certa la sua sicurezza digitale, manca, in radice, il primo attributo di ogni decisione democratica: la sua libertà.

Sgombrato il campo dall’equivoco “di base”, questo snodo, il Conte bis, presenta tutta la sua gravità democratica: in un colpo solo, vanifica tutta la costruzione interpretativa che si è voluto erigere intorno ad esso, quale  sedicente “argine”.

E lo fa con quella forza di impatto che è propria solo delle autentiche “svolte”: vale a dire, mantenendo la sua cancerosità in ogni caso: se “gli iscritti” approveranno, in quanto avranno approvato; se non avranno approvato, per quest’ultima ragione.

Tale effetto letale è stato assicurato, dalla improvvida scelta del tempo in cui il Presidente incaricato Conte dovrà sciogliere la sua riserva innanzi il Presidente della Repubblica.

Doveva essere fissato in un momento anteriore, e non posteriore, rispetto a quello del “pronunciamiento” di “Rousseau”.

Solo così se ne sarebbe neutralizzata, anche formalmente, la velenosissima presenza. Solo così si sarebbe potuto discutere di accomodamento, di paziente mediazione del Quirinale. Ma così, no. Così, è una abdicazione dalla Costituzione. E l’errore, capitale, l’ha commesso proprio il Presidente Mattarella. Spiace dirlo; ma le cose stano come stanno.

Se La Piattaforma sarà favorevole, questa sarà stata la volontà decisiva, in ultima istanza condizionante, e nessuna di quelle previste dalla Costituzione: Gruppi Parlamentari, che “rappresentano” le decine di milioni di cittadini; e lo stesso Presidente della Repubblica, che rappresenta la Nazione, così politicamente organizzatasi “con metodo democratico”.

Siamo comunque fuori dalla Democrazia Parlamentare: cioè, siamo fuori da quel terreno che dovrebbe costituire il fattore legittimante il Conte bis, la sua “nuova identità”: ciò che dovrebbe mettere Salvini da un lato, e la nuova maggioranza politica, dall’altro.

Siamo fuori da quel momento costituzionale che, in senso eminente, compendia ogni significato della Libertà, ogni significato della Democrazia, rispetto a paludose finzioni plebiscitarie: la formazione del Governo e la proclamazione della supremazia del Parlamento.

Più o meno in questi termini, si sono espressi due miti e insigni studiosi della Costituzione, Sabino Cassese e Cesare Mirabelli, peraltro, uno membro della Corte Costituzionale l’altro suo Presidente (a costoro si è aggiunto il Prof. Flick, ma con quasi esclusiva accentuazione dei pur rilevanti “buchi” democratici “interni” del M5S).

Ma se La Piattaforma non sarà favorevole, peggio ancora: e in entrambe le sottoipotesi. Se, infatti, Mattarella “prendesse atto” di questa ordalìa sansepolcrista, e revocasse l’incarico a Conte, saremmo dove neanche la più fervida cupezza immaginativa si vuole spingere. Ma se si passerà oltre, perchè, allora, attendere che si consumi l’oltraggio?

In realtà, nulla sarebbe mutato, rispetto al carattere decisivo e non semplicemente “anomalo”, di questo passaggio.

Il Prof. Da Empoli, in questi giorni, pur ribadendo le sue penetranti perplessità sul carattere democratico del M5S (“algoritmo vuoto”, tuttavia malleabile in varie direzioni: salvinian-catiliniarie, come pure più moderate, persino riformiste; tuttavia, con una strutturale “sensibilità” per le prime, come per tutto ciò che traduce semplificazioni emotive e irrazionalismi comunicativi), ha sostenuto una rivisitazione della classica “extrema ratio”: a populismo, mezzo populismo, se si può così riassumere l’auspicio.

Tuttavia, questa “consultazione” espone ad un altro rischio, che qui si teme una certezza. Nascondere l’incapacità politica di essere più forti, più credibili, più autenticamente democratici e liberali dei vari Catilina, volta a volta pronti alla sovversione. E “trovare un accordo” esattamente su questa “sostanza anticostituzionale”, ammannendola, però, come un “residuo” (paretiano, anche).

Un grande storico, Federico Chabod, sul pericolo di “trovare una misura”, dove andrebbero cambiate tutte le misure, senza “residui”, ha scritto parole altissime e laceranti, e di lacerante consapevolezza: “Ci si abitua, e la forza dell’abitudine è grande; essa porta ad accettare quel che non si può distruggere

Sono tratte da “L’Italia Contemporanea (1918-1948)”. Le date dovrebbero fugare ogni dubbio sulla qualità politica di quello che stiamo consentendo.