De Gasperi grosso

Le prossime elezioni europee rappresentano uno spartiacque epocale. Da più parti questa è una affermazione ripetuta e, in Italia, fa il paio con quella che attesta un parallelismo tra le europee alle porte e elezioni generali del 1948. Quelle nelle quali la Democrazia Cristiana si affermò sul Fronte Democratico Popolare delle Sinistre social-comuniste che, sotto l’egida popolare e rassicurante di Garibaldi, miravano a dirottare verso un esito rivoluzionario il futuro della appena nata Repubblica italiana.

Quello che credo sia interessante analizzare, in ordine ad un analogia che comunque mi trova concorde in merito all’importanza dello scontro politico, è la diversa posizione – ieri ed oggi – della sinistra italiana alla prova di un crinale nel quale, ora come allora, una parte sembra prendere di mira la logica stessa del sistema liberale e del costituzionalismo moderno, dello stato di diritto come è inteso in Occidente.

Allora, nel 1948, le forze maggioritarie della sinistra cedettero alla tentazione rinnovata di un flusso escatologico finalmente da intercettare, di una dicotomia manichea che, sconfitto il fascismo, predicava ancora: da qui il bene, di là il male, da un lato il sole dell’avvenire scientifico e certo e, dall’altra parte, la conservazione borghese destinata al naturale tracollo economico e morale.

Lo stesso partito socialista italiano, infatti, da sempre dibattuto al suo interno tra autonomismo e collaborazionismo, fu succube dei comunisti e non seppe declinare con coraggio l’opzione democratica. Lo stesso partito miope, dunque, che il 3 ottobre 1922, a pochi giorni dalla Marcia su Roma, invece di incentrare il suo XIX congresso sul pericolo fascista, espulse - su diktat di Mosca - il fondatore e riformista Filippo Turati, e scelse – oggi lo possiamo ben dire – la parte sbagliata. Una parte sbagliata che, nel 1948, ebbe le forme di quel fronte comune con i comunisti la cui vittoria, drogata dalle bugie e dagli interventi sovietici, avrebbe condotto alla balcanizzazione dell’Italia, alla dissoluzione orientale della democrazia costituzionale.

Oggi, evidentemente, le cose sono mutate. Ed è proprio la sinistra italiana, nell’evoluzione storica della strategia del Centrosinistra e del progetto che ha portato alla nascita, dieci anni addietro, del Partito Democratico, a rappresentare uno degli argini più solidi contro l’affermazione maggioritaria dei neo populisti demagogici e di un riaffermato e veemente ideologismo escludente – oggi identitario e nazionalista, ieri internazionalista e massimalista – che ha comunque, nonostante il segno diverso, lo stesso e solito nemico: la democrazia rappresentativa, la libertà di moto e di spirito dell’individuo su chiusure e tradizioni fisse e non tradotte nella contemporaneità.

I prodromi di questa resistenza democratica e “di sinistra” trovano origine, a mio parere, in quella resistenza riformista e di buon senso che fu propria – nel 1948 – di una minoranza spiritualmente significativa di socialisti e democratici che non confluirono nel Fronte Democratico Popolare e che, con la lista terza di Unità Socialista, contribuì ad arricchire la scelta di libertà degli italiani.

Fu, quindi, merito di Saragat e degli eredi di Giacomo Matteotti (segretario di quel partito socialista unitario costituito da Turati e dagli espulsi del 1922) a consentire allora alla sinistra riformista e gradualista di sottrarsi definitivamente dalla deriva bolscevica di chi auspicava l’affermazione dei soviet in Italia.
Anche a quegli uomini, a quei “traditori dei lavoratori”, a quei “socialfascisti” - così Togliatti e i suoi hanno sempre appellato i riformisti e i socialisti liberali come Carlo Rosselli - dobbiamo la conservazione dei lieviti di libertà e giustizia che pian piano germinando hanno consentito, con non pochi intoppi (dall’assurdità dell’eurocomunismo berlingueriano ai cedimenti giustizialisti e manettari degli orfani dell’ideologia forte crollata sotto il “muro”) all’affermazione ormai maggioritaria di una sinistra democratica, occidentale e europeista nell’obiettivo strategico.

Una sinistra che in Italia concorre sempre più ad affermarsi – insieme ai liberali e ai radicali di + Europa - come l’antagonista principale di tutti quei settarismi escludenti che, colpendo le istituzioni democratiche ma non sovraniste della UE, mirano all’affermazione, una volta conquistato il potere, di valori retrogradi, di miti violenti, di una teologia politica giustificazionista che nell’odio del diverso, dell’escluso, dell’emarginato, dello straniero, vorrebbe edificare in Europa la società perfetta del filo spinato, ottimo viatico per nuove e tremende guerre intestine.