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Nel Contratto per il Governo del cambiamento si legge che una delle questioni da affrontare è data «dall’affermazione del principio della prevalenza della nostra Costituzione sul diritto comunitario, in analogia al modello tedesco, fermo restando il rispetto dell’articolo 11 della Costituzione».

In questo modo, l’ideologia “sovranista” si colora di una nuova tonalità: dopo aver elaborato le più bislacche teorie nei campi economico e politico, ora si approccia a quello giuridico. In tutta onestà, la cosa non stupisce: chi ha vinto le elezioni lo ha fatto promettendo l’impossibile e, ora, sente che cambiare le regole del gioco è necessario per cercare di realizzare ciò da cui è politicamente obbligato. Questa giustificazione non rende, però, meno ridicolo il sovranismo giuridico: piuttosto, mette in allarme, perché siamo di fronte o a un classico esempio di chiacchiere politiche o a un caso di preoccupante dissimulazione. Ma procediamo con ordine.

Nel 1964, la Corte di Giustizia europea pronunciò la sentenza Costa contro Enel, che ha rappresentato per il diritto europeo un po’ quello che la celebre Marbury v. Madison ha significato per il diritto statunitense: per la prima volta, si affermò il primato del diritto europeo su quello interno, imponendo ai giudici degli Stati membri l’obbligo di disapplicare la norma nazionale che risultasse in contrasto con quella europea. La dirompente novità giuridica non fu immediatamente ben accolta dalle Corti nazionali e ciò produsse un serrato confronto-scontro con la Corte europea che terminò, infine, con l’accettazione (non supina) della dottrina enunciata in Costa contro Enel. Il primato del diritto europeo su quello interno fu riconosciuto, ma con il limite fondamentale dei cosiddetti “controlimiti”: le Corti Costituzionali – tra cui la nostra – si riservarono il diritto di dichiarare incostituzionali le leggi di recepimento dei Trattati europei nel caso in cui essi avessero obbligato gli Stati firmatari a implementare nel proprio diritto interno delle norme che contrastassero con i valori “supremi” dell’ordinamento giuridico.

Per essere chiari, fino in fondo: in Italia, il principio della prevalenza della nostra Costituzione sul diritto europeo, cui i promotori del Governo del cambiamento fanno riferimento, esiste già. La nostra Corte Costituzionale ha avuto l’occasione di ribadirlo – peraltro, abbastanza di recente – all’esito dell’intricato caso Taricco (in materia di prescrizione): con l’ordinanza n. 24/2017, la Corte ha espressamente fatto riferimento all’ipotesi di attivare i “controlimiti” e dunque a non dare applicazione al diritto europeo, se quest’ultimo avesse portato a un risultato incompatibile con i principi fondamentali dell’ordinamento italiano (guarda caso, proprio quello che M5S-Lega vorrebbero, quasi fosse una novità, promuovere come impegno del loro governo…).

La reazione della Consulta – «garbata nella forma, rocciosa nella sostanza», come è stata efficacemente descritta – ha portato la Corte di Giustizia europea a fare retromarcia, riconoscendo infine l’impossibilità di conciliare la propria “versione” della prescrizione con quella propria del diritto penale italiano e, di conseguenza, affermando che l’esigenza di tutelare le finanze dell’Unione non può portare al sacrificio dei valori supremi del principio di legalità e della certezza del diritto. Come si vede, dunque, il sospetto che i sovranisti giuridici non sappiano di cosa parlano è davvero forte: la sensazione è inoltre confermata dall’improprio riferimento al “modello tedesco”, che è del tutto analogo a quello italiano, essendo anch’esso basato sulla dottrina dei controlimiti. Peraltro, è opportuno ricordare che i contrasti tra Corti nazionali e Corte europea, benché potenzialmente possibili, sono attualmente alquanto rari, dal momento in cui l’UE si impegna a valorizzare le tradizioni costituzionali “comuni” agli Stati europei (l’art. 4 del Trattato di Lisbona enuncia il principio del doveroso rispetto da parte dell’UE nei confronti dei principi di struttura degli Stati, mentre l’art. 67 co. 1 del TFUE ribadisce il «rispetto dei diritti fondamentali nonché dei diversi ordinamenti e tradizioni giuridiche degli Stati membri» cui è tenuta l’UE, al fine di realizzare «uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia»).

Nulla di nuovo sotto il sole, dunque? Non proprio. Sia consentito un piccolo gioco da giuristi: l’art. 1362 del codice civile impone – come regola di interpretazione dei contratti: e M5S e Lega proprio un contratto vogliono sottoscrivere – la necessità di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti, non limitandosi al senso letterale delle parole. Indagando questa volontà, è possibile concludere di trovarsi di fronte a un caso scolastico di “simulazione”: dietro all’improprio riferimento al primato della Costituzione, infatti, potrebbe celarsi la volontà di estendere la primazia della legislazione ordinaria interna rispetto agli impegni derivanti dall’adesione all’Unione europea. Ad oggi, infatti, un giudice italiano che rilevi un contrasto tra norma italiana e norma europea è tenuto – fatto salvo quanto su detto in ordine ai “controlimiti” – a disapplicare la prima in favore della seconda: volendo dare un senso effettivo a quanto affermato nel contratto per il Governo del cambiamento, è questo il vincolo che M5S e Lega vorrebbero eliminare. C’è dell’ironia, in tutto questo: farlo sarebbe, infatti, di per sé “incostituzionale”, visto l’art. 117 comma 1 della Costituzione, il quale stabilisce che la potestà legislativa è esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario…

Ma attenzione. La verità è che l’unico modo per dar seguito all’intenzione espressa da M5S e Lega sarebbe quello di uscire dall’Unione Europea: finché si è dentro, il primato del diritto europeo – nei termini su esposti – è inattaccabile. Mai come stavolta, allora, c’è da sperare che i politici non mantengano quanto promesso.