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Ciò che stupisce nell'elezione di Zingaretti non è tanto il successo del Presidente del Lazio, ampiamente annunciato, ma è la reazione della "grande stampa" (si fa per dire...) e di tanti opinion men. Chi aveva dato per finito il PD oggi si meraviglia della partecipazione popolare ed esalta un dato che, invece, non stupisce affatto chi abbia un po' di dimestichezza col "popolo" del PD.

La gioia per l'opposizione ritrovata non può però nascondere il dato politico di fondo di ciò che è avvenuto, che è diverso dal ritrovamento da parte di “questo” PD del “suo” popolo, e non solo per una ragione di numeri.

Di quale popolo parliamo? Di quello che nel 2007 al Lingotto sognava un Partito Democratico all'americana, che prendeva atto dei fallimenti del comunismo nel mondo, che poneva il centrosinistra italiano nel solco di quello che qualcuno aveva enfaticamente ribattezzato “l'Ulivo” mondiale? Che predicava globalizzazione, mercati aperti ancorché regolati, merito, innovazione quale base per la sconfitta della povertà? In quel popolo c'erano molti di noi che oggi non ci sono più e che ritenevano quella la strada giusta per combattere il rinascere di fenomeni quali i riflussi xenofobi e antisemiti, l'impotenza nei confronti dell'immigrazione, la regressione nei diritti individuali in molti Paesi dell'ex blocco sovietico, la rinascita diffusa di un populismo nazionalsovranista e neoprotezionista in Europa e nell'America di Trump.

Nonostante la buona partecipazione alle primarie (la metà di quelle del 2007) tutti sappiamo che quel PD non c'è più e che una parte di quel popolo è rimasta a casa. A cominciare da me.

Riveduta e aggiornata, la piattaforma politica espressa da Zingaretti è coerente con quella della sinistra democratica organizzata nel Partito Socialista Europeo, che tutto è salvo una formazione politica aperta e plurale a quelle istanze riformiste e liberaldemocratiche che pure caratterizzarono lo sforzo iniziale di un PD in cui, accanto alla spinta riformista dei DS di Fassino, molto pesava l'eredità innovatrice della Margherita di Rutelli.

Oggi il PD è tornato ad essere il PDS, un partito della sinistra europea in cui non manca mai una qualche presenza laica e cattolica che comunque non basta a farne una cosa diversa, più plurale e meno ideologicamente caratterizzata. Anzi, questo PD, semmai, fa provare, sul piano dei contenuti, un po' di nostalgia persino dei DS dell'ultima ora.

Se “qualcosa in più”, di non ideologico c'è – e che anche il dato di domenica conferma - è dovuto alla partecipazione di una fetta di elettori non iscritti al PD perché convinti che solo nel PD si possa organizzare un'opposizione al Governo giallo-verde e, più in generale, a populisti e nazionalsovranisti.

Per costoro non contano tanto le “politiche”, cioè i contenuti, quanto “la politica”, cioè la mera organizzazione dell'opposizione. Il nemico comune – ieri Berlusconi, oggi Salvini-Di Maio – è per costoro il cemento sufficiente per sostenere Zingaretti oggi con la stessa facilità con cui solo due anni fa hanno votato in modo ancor più plebiscitario Renzi e prima ancora Bersani.

Ma è proprio qui che si apre il problema per gli altri, per quelli, cioè, come me, che sono radicalmente contro la destra populista, xenofoba, razzista ma che non ritengono che il populismo dominante possa essere sconfitto riproponendo le ricette della sinistra tradizionale che spazia dalla Ocasio-Cortez a Zingaretti, passando per Corbyn.

Io non condivido né il giudizio negativo sugli effetti della globalizzazione, né l'asserita subalternità, negli ultimi 20 anni, del centrosinistra al liberismo, né l'opposizione agli accordi di libero scambio come il CETA, né la timidezza nell'affrontare le emergenze ambientali del nostro Paese, né il “socialismo municipale” condiviso in referendum come quello sulla gestione dell'acqua, né la timida opposizione al referendum propositivo che uccide la democrazia rappresentativa, né l'invocazione di nuove politiche assistenziali che poco si differenziano da quelle del M5S, né la paura di dare più autonomia alle Regioni, né il pentimento di molti rispetto al jobs act, alla riforma della scuola e alla legge Fornero, né una collocazione europea – quella nel PSE – che, insieme ai Popolari Europei, porta molte responsabilità sul “non fatto” in Europa in questi anni. Sono convinto che debba essere combattuta la povertà, non la ricchezza, e che per combatterla si debba innovare a livello sociale e istituzionale e aprire il più possibile il mercato del mondo, a maggior ragione per far crescere un Paese trasformatore come l'Italia.

Mi chiedo, infine, come si possa passare dal “renzismo” allo “zingarettismo” così facilmente, senza profonde autocritiche e messe in discussione dei propri ruoli politici e personali (che finora ha riguardato – va riconosciuto - solo Renzi e il cosiddetto “giglio magico” verso i cui modi di fare non porto, peraltro, alcuna simpatia).

Detto questo, continuo a pensare che il PD resti essenziale e centrale per costruire qualunque opposizione in Italia che aspiri a sostituire presto questi pericolosi dilettanti allo sbaraglio. Ma resto altresì convinto che, in una prospettiva europea, conoscendo la politica europea, si debba utilizzare la particolare natura “proporzionalista” delle elezioni europee per mettere in campo un'offerta politica nettamente alternativa alla destra e al populismo, ma anche “distinta e distante” da quella del PD guidato da Zingaretti per non parlare dell'estrema sinistra, rimandando alle elezioni politiche nazionali future e a quelle regionali l'obiettivo di messa in campo di coalizioni in grado di sconfiggere chi ci governa o anche una destra ricompattata. Sempre che ci si intenda sui contenuti però!

È per questo che non condivido la pur generosa, ma alquanto ingenua, proposta del “listone” europeista avanzata da Calenda. Innanzi tutto perché una volta a Bruxelles gli Italiani (tutti!) devono fare i conti con le rispettive formazioni politiche europee poco propense a tenere in troppo conto le esigenze interne italiane, e poi perché la connotazione “socialista” del PD zingarettiano non consente di esprimere quella pluralità di opposizioni al populismo e alla destra che pure esiste nel corpo sociale.

Da cittadino libero, che non ha né responsabilità politiche né ruoli istituzionali, mi sento di dovere lanciare un appello a chi queste responsabilità e questi ruoli li ha affinché agisca con generosità e, senza badare a tornaconti personali, metta in campo un movimento di idee e una lista elettorale che affronti le grandi sfide del nostro tempo, che non possono essere affrontate con l'armamentario ideologico di un '900 superato e che punti a rappresentare i soggetti attivi della società, coloro cioè che, nonostante tutto, per dirla con Einaudi, tutte le mattine, alzano la saracinesca della loro bottega e cercano di creare pane e lavoro per sé, la propria famiglia, i propri collaboratori.

Oggi questa parte di opinione pubblica è “orfana”, e il generoso tentativo compiuto da +Europa un anno fa per darle una nuova paternità va ampliato e arricchito con altre esperienze democratiche e riformiste (il PDE, alleato nel gruppo ALDE al Parlamento Europeo, associazioni ambientaliste, gruppi cattolici) affinché si affermi un'offerta “liberale e “solidale” senza la quale la sola opposizione di sinistra targata PD non sarà in grado di restituire al nostro paese la dignità perduta.