diMaio Balcone 2

In assenza delle clausole di salvaguardia, cioè l'aumento dell'Iva, inserite nella versione aggiornata della manovra, il deficit salirebbe al 3% del Pil sia nel 2020 sia nel 2021. In alcuni passaggi, questo tra tutti, dell’audizione del presidente dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio (Upb) alla Commissione Bilancio della Camera, c’è tutto o quasi quel che è necessario sapere sul nostro prossimo futuro.

Il raggiungimento del rapporto deficit/Pil nel biennio 2020-21 è interamente affidato alle clausole di salvaguardia su Iva e accise. In pratica, al netto della clausola Iva, si passa dalla sequenza 2,4/ 2,8/2,6 prevista nella prima versione della manovra, quella bocciata dalla Commissione Europea, a una 2,0/3,0/3,0 per il triennio 2019/21. "Con evidenti rischi sulla sostenibilità futura della finanza pubblica”, sottolinea Giuseppe Pisauro, con un eufemismo. 23 miliardi di aumenti Iva nel 2020, 29 miliardi nel 2021: “è difficile immaginare che si possano compensare con tagli alle spese”.

La manovra, in poche parole, è tutta nelle clausole di salvaguardia. Sono le clausole di salvaguardia che consentono di tenere oggi il rapporto deficit/Pil a un livello sufficiente per evitare le sanzioni europee e di avviare le due misure-bandiera del governo gialloverde, reddito di cittadinanza e quota 100, ma che diventeranno domani (già a giugno, a valle delle elezioni europee) l’innesco del disastro prossimo venturo.

Per capirci ancora meglio, chi si troverà al governo nella seconda metà del 2019 avrà in teoria tre alternative: o la fine di quota 100 e del reddito di cittadinanza, con l’attrito sociale che questo comporterà, o l’aumento dell’Iva fino al 25%, con la catastrofe economica che questo comporterà. Oppure la mega patrimoniale: siamo o non siamo il paese con la ricchezza privata sempre invocata come garanzia di ultima istanza per il debito pubblico? In un modo o in un altro, la seconda parte del 2019 è il momento in cui quella garanzia verrà escussa.

In ogni caso, una qualsiasi di queste alternative avrà bisogno di una maggioranza parlamentare abbastanza coesa e determinata, anche a perdere consenso elettorale pur di rispettare i vincoli di bilancio. Ne vedete una all’orizzonte? Non esistono, né oggi né tra sei mesi, le risorse necessarie a disinnescare le clausole di salvaguardia o a evitare una mega-patrimoniale, ma nessuna maggioranza sarà in grado di prendersi la responsabilità di far scattare le clausole o di mettere le mani nei conti correnti degli italiani.

Il risultato è nelle cifre esposte da Pisauro ieri in audizione: 3.0 di rapporto deficit/Pil già nel 2020, sempre nella speranza che le stime di crescita non vengano ulteriormente corrette al ribasso dalla realtà, cosa tutt’altro che improbabile. Ecco perché la manovra, evitando l’incidente oggi, lo rimanda a domani, rendendolo drammaticamente inevitabile, nel più che prevedibile caos politico e istituzionale e nelle presioni speculative sul nostro debito che si determineranno nel momento in cui questi nodi verranno al pettine.

Per questo, alla fine, tra i vari scenari possibili, la crisi dello spread che ci trascinerà sempre più vicini al punto di non ritorno dell'uscita dall'Eurozona resta lo scenario politicamente meno impegnativo per la maggioranza. Tutto questo avverrà dopo, e non prima delle elezioni europee, e questo è l'unico risultato utile che la maggioranza porta a casa con questa manovra.

Proprio per questo il futuro prossimo dell'Italia dovrebbe essere l'unica cosa di cui parlare prima e durante la prossima campagna elettorale, ma è proprio per questo che invece probabilmente sarà il grande tema dimenticato e rimosso. 

@giordanomasini