Manovra, il Governo si arrende e il soldato Borghi rilancia
Istituzioni ed economia
L’intervista di stamattina alla Stampa di Claudio Borghi, il presidente della Commissione Bilancio della Camera e consigliere economico della Lega, non è solo un tentativo poco riuscito di mascherare la sostanziale ritirata del Governo sulla Manovra e presentarla come un’improbabile vittoria penta-leghista.
«Immagino che i signori di Bruxelles abbiano capito che se avessero tirato ancora la corda, la gente sarebbe tornata a chiedersi se convenga restare in Europa o no», afferma Borghi facendo seguire alla minaccia anche qualche inquietante dettaglio in più: «se fosse stato utile avremmo potuto scassarli anche noi i cassonetti», dice, riferendosi alle devastazioni dei gilet gialli in Francia.
La premessa è tutta sbagliata, certo: è stato il Governo a rivedere al ribasso il rapporto deficit/Pil, dal 2,4 al 2, ad adeguare le previsioni di crescita del Pil, cancellando l’impresentabile falso contabile dell’1,5 percento e adeguandolo a un più realistico, anche se ancora ottimistico, 1 percento. È stato il governo ad aver ridotto i fondi previsti per il reddito di cittadinanza e per quota 100, riducendo ancora di più la platea dei possibili beneficiari, e procrastinato nel tempo l’avvio di entrambe le misure. È stato il governo a regalare, a chi attende la cosiddetta “pace fiscale”, interessi tre volte più salati per i ritardi negli adempimenti fiscali.
I “signori di Bruxelles”, per decidere di non tirare ancora la corda, hanno semplicemente atteso una proposta di manovra che, al di là del merito, riportasse i saldi in un alveo accettabile secondo le regole. Per dirla più chiaramente, è stato il Governo (grazie al cielo) a portare i calzoni allaltezza delle caviglie, non certo Bruxelles.
Ma anche se la premessa è tutta sbagliata, quello che conta è la minaccia, che poi è sempre la stessa: o fate come diciamo noi, o usciamo dall’Euro e dall’Europa. E se non basta la minaccia dell’omicidio-suicidio, per come è stata proposta finora, non ha dato frutti, si passa a minacciare azioni violente: noi (governo italiano) potremmo mettere sul piatto della bilancia delle trattative una “ribellione fisica”. D’altronde Borghi non ha specificato se i cassonetti da scassare da fantomatiche squadre di casseurs pentaleghisti sarebbero quelli di Roma oppure di Bruxelles, ed è difficile squadracce filogovernative all’assalto dei loro beniamini del governo.
Cosa vorrebbe Borghi, in cambio della rinuncia dell’assalto alla Bastiglia europea? «Approvare una riforma epocale come la garanzia dei debiti sovrani da parte della Bce», ovvero la solita pretesa stracciona di usare i soldi dei contribuenti e dei risparmiatori di altri paesi a garanzia del debito fatto dal governo italiano.
Che questa intervista arrivi proprio stamattina, nel giorno in cui i mercati accolgono con una certa distensione l’annuncio (provvisorio?) di un accordo con Bruxelles, evidenzia che c’è ancora chi cerca sistematicamente l’incidente con l’Europa e soprattutto con i mercati: è nella minaccia il vero pericolo, nel fatto che i mercati possano o meno prenderla seriamente, non nella sua effettività. A chi cerca l'incidente può bastare un'intervista o un tweet, a fronte del lavoro reale e faticoso di chi cerca di evitarlo. Borghi non è l'ultimo giapponese che continua a combattere una guerra già persa. In questa asimmetria c'è la misura del pericolo che stiamo correndo, tutt'altro che scampato.