scajola

“Ho vinto da solo contro il resto del mondo” ha detto il neo-eletto sindaco di Imperia Claudio Scajola e, da un certo punto di vista, ha anche ragione a dirlo.

Nell’era degli homines novi che sgusciano dai sottoscala o dai bassifondi dell’establishment politico-economico e riconquistano una verginità spendibile sposando la “solitudine” del popolo e il qualunquismo degli uomini qualunque, Scajola ha fatto “da solo” nella minuscola Imperia qualcosa di simile a ciò che Trump ha fatto nella grande America e Salvini nella piccola Italia: un’operazione esibizionisticamente trasformistica da parte di un cacicco del potere nel nome dei senza potere.

La consonanza tra gli uomini peggiori del Palazzo e i sentimenti peggiori della Piazza è una legge storica aurea e inscalfibile e trova sempre diverse declinazioni. Ora, a funzionare sul piano globale, è quella giocata non sul piano della prestidigitazione delle opinioni, cioè dell’inganno, ma sul reciproco riconoscimento del “peggiorismo” tra elettori ed eletti e tra elettori e rappresentati.

Come Trump, nel suo disprezzo esibito per il vecchio “moralismo” conservatore dei Mc Cain e dei Krauthammer e nel suo orgoglio per la mala educación fiscale, politica e sessuale ha legittimato il disprezzo e perfino l’odio come sentimento morale e come presidio patriottico dell’America assediata, allo stesso modo Salvini e Scajola – due consumati maneggioni del potere, due maggiorenti delle furerie partitocratiche – possono diventare, ciascuno al proprio livello, rappresentanti della gente comune e del suo diritto di essere peggiore di come i tabù democratici della correttezza, del rigore e della responsabilità pretenderebbero che fosse. Vincono perché dicono a tutti: “Non ci dobbiamo più vergognare di nulla”.

Gli elettori dei mandarini anti-establishment non si aspettano neppure di stare meglio, grazie al loro governo. Si aspettano in primo luogo la libertà di non dovere essere migliori – più istruiti, più intraprendenti, più flessibili, più produttivi, più “intelligenti”… – di come sono e di come vogliono restare; si aspettano il sollievo di non dovere ammettere che il cambiamento dei rapporti di forza e di potere imposti dalla demografia e dall’economia globale è un fatto storico “naturale”, non un complotto di élite maligne e che non c’è una colpa esterna su cui rinnovare la propria pretesa di innocenza.

Se non si capisce che il cuore dell’antipolitica è tutto qui, in questo scambio di giustificazioni e di indulgenze senza confessioni e senza pentimenti, e lo si va a cercare altrove, non si può capire come – nel nome della lotta all’establishment - negli Usa possa vincere il campione dell’elusione fiscale, in Italia il titolare del partito più ladro e a Imperia un politico sputtanato e maramaldo, capace di sputare sul cadavere di Biagi, con un trumpismo ante-litteram (“Figura centrale Biagi? Fatevi dire da Maroni se era una figura centrale: era un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza”).

Peraltro, dopo la polemica sulla scorta a Saviano, la resurrezione politica del predecessore di Salvini al Viminale dimostra che in politica non esistono coincidenze, ma solo corrispondenze. E proprio il risultato di Imperia, più del crollo delle roccaforti rosse toscane o del lento scivolamento grillino dà la misura perfetta del kairos antipolitico.

@carmelopalma