populismo big

La dialettica Popolo versus Democrazia non è un’invenzione ingenua e ignorante di Grillo e di Salvini. È un’idea maturata, anzi finemente distillata dalle élite economico-culturali di un’Italia naturaliter anti-politica per riflesso mentale e filogovernativa per statuto morale, neutrale e superba rispetto ai partiti e partigiana e servile di qualunque potere costituito.

È un’élite che dalla fine della Prima Repubblica, dai cui assetti politici si sentiva garantita e dipendente, si è sempre schierata con ogni sorta di rivolta “popolare” dettando obiettivi e parole d’ordine e legittimando dall’alto l’idea che contro il Palazzo i fini giustificano i mezzi e la rabbia giustifica il popolo, la corruzione giustifica Di Pietro e l’indignazione giustifica le monetine del Raphael. Grillo e Salvini sono semplicemente gli spiriti maligni usciti dalla loro lampada dei desideri.

In una temperie storica in cui, ovunque in Occidente, per le sorti della democrazia liberale non butta propriamente bene e in cui l’establishment è dappertutto sotto attacco, perché identificato come rappresentante di una rete di potere globale sinistramente invisibile, il “sovranismo” italiano, prima che nazionalista e antiliberale, è moralista e antipolitico. È qualcosa di peggio e di più di quello che succede altrove. Non è la perversione dell’ideale democratico, ma la sua radicale tribalizzazione etica e etnica, in un perenne “noi” contro “gli altri”, che presta a ciascuno la possibilità di essere “noi” senza mai essere “altri”.

Il populismo italiano e il suo successo è lo specchio, insieme, del successo delle élite italiane e del loro fallimento.  Del successo della loro pedagogia civile – la società e il popolo contro la Casta e la burocrazia del Palazzo, con tutto quello che ne è conseguito – ma del fallimento rispetto al ruolo sociale delle classe dirigenti, che è in primo luogo quello della formazione di un’opinione pubblica autonoma e consapevole e non perennemente in bilico tra la sudditanza e la sommossa.

Basta leggere i giornali, guardare la tv, sentire le parole e i silenzi dei grandi papaveri di Confindustria e del gotha dell’Università italiana e dei rappresentati di associazioni di categoria, di corporazione o d’impresa. Tutto dà l’idea di un’intendenza intellettuale che segue, per vocazione e necessità, l’onda del potere, senza porsi il problema di dove porti, a quali destini e a quali disastri. La rappresentazione più straordinaria di questo “spirito” è nell’immagine dei giornalisti che zittiscono la collega Tonia Mastrobuoni (“non fare comizi!”, “lascia parlare il Ministro!”) mentre incalza di Maio che delira come un ubriaco del “Dio deficit” e del “Dio spread”.

Se siamo arrivati a questo punto – con una maggioranza che raggiunge il culmine del consenso semplicemente contrapponendo in una retorica stracciona l’interesse del popolo e quello dei “soliti noti” – dare la colpa solo a Di Maio o Salvini è troppo facile. È vero il contrario: Di Maio e Salvini sono la prova della più grave colpa delle élite italiane e il monumento alla loro vergogna.

@carmelopalma