strada schengen

Nessuno trova interesse nell’europeismo. Come tutti gli -ismi anche questo si riduce a mantra, polveroso e impacciato. Quasi un epitaffio, non un progetto vivo. L’europeismo, cioè il parlare di Europa raccontandola in terza persona, è come parlare di sesso senza farlo. Non è eccitante, è triste!

L’Europa non è una cattedrale da difendere, non ha paramenti istituzionali da conservare o gioielli - i trattati fondativi, i confini che non ci sono più, le culture che si mischiano - da preservare dalla volgare irruzione dell’Europa reale. L’Europa reale è quella intergovernativa e non federale, è la somma di Stati e non l’unione di popoli. Una cacofonia identitaria ingolfata da apparati burocratici e coltri di nebbia che rendono l’indirizzo, la decisione, il processo inaccessibile a chiunque. Impossibile capire chi decida cosa, e come. Impossibile quindi credere che in un sistema così impermeabile la colpa non sia il sistema stesso, cioè l’Europa appunto.

L’Europa - quella vera, quella da fare - è spazio vivo di libertà, prosperità e democrazia. Ecco, questa Europa, come si fa? Non basta una bandiera, anzi probabilmente lo sventolìo leggiadro, reiterato e conclusivo come fosse tutto un wow questa Europa, alla lunga annoia.

L’Europa si fa ponendosi un problema nazionale - uno vero, di quelli sentiti - e trovando la soluzione. Quella soluzione, senza sforzarsi, sarà europea. Rimboccarsi le maniche e farlo sapere. Il lavoro che non c’è e quando c’è è schiavizzato. Il welfare che non aiuta chi deve e scoraggia chi può. La ricerca scientifica poco finanziata e poco libera di ricercare, la democrazia che non dà libertà, la tecnologia che ci riempie di regali che sembrano gratis e che invece paghiamo cari e a nostra insaputa. E l’aria che respiriamo, i mari in cui nuotiamo, il cibo che mangiamo. E gli immigrati?

I nazionalisti non parlano di Italia, nazione come concetto astratto: parlano di problemi reali e danno false soluzioni a questioni che lo Stato nazionale, nessuno Stato nazionale, risolverà mai. Noi - inteso: noi che ci appassioniamo a un progetto, non ad una scenografia - non dobbiamo parlare né di europeisti né di nazionalisti - i Salvini, i grillini, i Renzi. Chissenefrega! Dobbiamo anche noi prendere i problemi, uno per uno, e dare loro una soluzione chiara, possibile, desiderabile. Quella soluzione sarà per forza di cose europea. Non intergorvernativa, non l’Italia che batte i pugni sul tavolo. Non il ritorno a Maastricht per ridurre l’Europa a una mucca iper-statalista da mungere.

L’Europa sono le persone, i cittadini, il loro diritto di essere protagonisti, non comparse, del fare l’Europa o farla perire. Mobilitarsi per l’Europa vuol dire questo: far venire voglia alle persone di aderire ad un’iniziativa popolare. Fare iniziative popolari in cui siano i cittadini europei , non gli apparati, a fare davvero l’Europa.

L’Europa si fa tirando fuori le idee e la passione attorno ad un progetto, che non è una manciata di seggi alle prossime elezioni politiche, ma una prospettiva, un metodo, un piano d’azione. Prospettiva, metodo, piano d’azione paneuropei. Questo vuol dire che la forza sta in un progetto che investa sugli europei, non un discorso da pronunciare nel parlamento nazionale quando in aula si discute d’Europa.

Alle prossime elezioni politiche ha senso che esista questo progetto politico fatto anche di una lista elettorale - perché certo non si realizza un cambiamento così radicale, un progetto addirittura di rifondazione democratica europea, riunendo degli apparati partitici catacombali. C’è l’iniziativa. C’è la prospettiva. Riempiamola di contenuto, idee, progetti e invece di chiederci con chi andare alle prossime elezioni, occupiamoci di tracciare la strada, farle luce, trovare il carburante ideale, la convinzione, la passione. E le prossime politiche saranno solo l’inizio.

@kuliscioff