kim jong un

È troppo presto per capire se il pacchetto di sanzioni votate all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU il 12 settembre scorso nei confronti del governo nordcoreano ridurrà a più miti consigli Pyongyang. L’impressione è che queste sanzioni piuttosto blande – molto diverse da quelle presenti nella bozza elaborata da Washington che prevedeva blocco petrolifero, stop all’export di tessile nordcoreano, perquisizione di navi della Corea del Nord sospettate di trasportare tecnologia militare, bando per i lavoratori nordcoreani all’estero che inviano in patria valuta pregiata, congelamento dei beni esteri di Kim Jong-un – non produrranno sostanziali cambiamenti nella delicata crisi che vede opposti Stati Uniti e Corea del Nord, ma che preoccupa moltissimo Seul e Tokyo.

Il testo approvato al Palazzo di Vetro, pesantemente modificato per ottenere il consenso di Russia e Cina, membri permanenti del Consiglio di Sicurezza con diritto di veto, non prevede né l’embargo petrolifero, che avrebbe strozzato l’economia nordcoreana limitandone le spese militari, né il congelamento del patrimonio del leader maximo di Pyongyang. La ferma risposta chiesta dall’ambasciatrice statunitense alle Nazioni Unite Nikki Haley all’indomani del test nucleare effettuato dalla Corea del Nord lo scorso 3 settembre – test che secondo esperti giapponesi aveva liberato una potenza di 160 chilotoni (ben dieci volte quella della bomba di Hiroshima) capace di scatenare due terremoti artificiali – non c’è stata. O meglio è stata decisamente più morbida di quanto avrebbe voluto Washington. A ben vedere è stata penalizzata solo l’industria tessile, il cui export porta nelle casse del Paese 752 milioni di dollari l’anno, ma la risorsa più importante, il petrolio, non è stata toccata. 

L’unica novità giunta da Pyongyang in questi giorni è la nomina della sorella del leader, la ventottenne Kim Yo Jong, a membro del Politburo del partito, scelta in linea con la continuità dinastica di quello più volte definito l’ultimo regime stalinista al mondo. L’investitura è avvenuta il 10 ottobre, in occasione dell'anniversario della fondazione del Partito dei Lavoratori. Il fatto che la ricorrenza non sia stata celebrata con un altro test missilistico, come molti osservatori internazionali temevano, non significa peraltro che la situazione si stia normalizzando. Le minacce via twitter di Trump e le risposte bellicose di Kim dicono di un clima sicuramente molto teso che ha messo in allarme anche il Giappone.

Le semplificazioni di molti media italiani, che dipingono questa crisi quasi come uno scontro tra il leader statunitense e quello nordcoreano, una sorta di clash of personalities tra due individui eccentrici ed egocentrici, non aiutano a comprendere la complessità geopolitica di una vicenda in cui sono coinvolti almeno sei attori: Corea del Nord, Cina, Russia, Giappone, Stati Uniti e Corea del Sud.

Tanto è stato scritto sui rapporti privilegiati tra Corea del Nord e Cina in ambito politico ed economico, molto meno sulle relazioni Mosca-Pyongyang. Chiarire il ruolo della Corea del Nord all’interno della più ampia strategia geopolitica del Cremlino è altresì utile anche per individuare i possibili scenari futuri di questa vicenda. Secondo il sovietologo giapponese Motohide Saito, che studia da anni i rapporti tra Russia e Corea del Nord, l’avvento al Cremlino di Putin nel 2000 segna l’inizio di una nuova fase diplomatica tra Mosca e Pyongyang.

Nonostante gli obiettivi di fondo di Mosca siano più o meno gli stessi del 1953 (anno dell’armistizio tra le due Coree che pone fine alla guerra tra Seul e Pyongyang) – ossia il mantenimento della pace nella penisola coreana cercando, al contempo, di ridurne l’influenza degli Stati Uniti – la politica estera nei confronti della Corea del Nord è profondamente mutata rispetto agli anni della perestroika e della presidenza Eltsin. Nel luglio 1961 l’Unione Sovietica sottoscrive, su richiesta dei vertici nordcoreani, un’alleanza militare con Pyongyang, ma a partire da metà anni Ottanta l’amministrazione Gorbachev decide di focalizzare la propria attenzione sulla Corea del Sud, al fine di ottenere qualche sussidio economico vista la disastrosa situazione in cui versa l’economia sovietica.

Nel gennaio 1991 Mosca stabilisce relazioni diplomatiche ufficiali con Seul. La cosa non piace ovviamente a Pyongyang che protesta vivacemente contro questa svolta nella politica estera del Cremlino e inizia a pensare seriamente di sviluppare armi nucleari. Undici mesi più tardi, nel dicembre 1991, l’Unione Sovietica cessa di esistere. Il primo presidente della neonata Federazione Russa, Boris Eltsin, prosegue sulla strada già indicata da Gorbachev intensificando le relazioni con Seul. Nel 1996, il trattato di Amicizia, Cooperazione e Mutua Assistenza tra Corea del Nord e URSS del 1961 decade. Kim Il-sung, l’allora leader di Pyongyang, chiede la stipula di un altro accordo militare affinché il suo Paese sia protetto dall’ombrello nucleare russo, ma Eltsin rifiuta.

Secondo diversi analisti è in questo periodo che le autorità nordcoreane intensificano i propri sforzi al fine di dotarsi di testate nucleari. Entrare nei dettagli tecnici dello sviluppo del nucleare nordcoreano degli ultimi vent’anni richiederebbe una lunga trattazione che esula dallo scopo di questo articolo ma è opportuno fare alcune considerazioni di massima anche al fine di smentire talune ricostruzioni di media moscoviti come Sputnik, riprese anche da testate italiane, secondo le quali il nucleare di Pyongyang è sviluppato di concerto con l’Ucraina.

I primi missili balistici sovietici a corto raggio Scud B sarebbero arrivati in Corea del Nord alla fine degli anni Settanta attraverso l’Egitto quale forma di ricompensa per l’invio di piloti militari nordcoreani a supporto di Siria ed Egitto nella quarta guerra mediorientale scoppiata nell’ottobre del 1973. Nel 2016 il Congresso degli Stati Uniti pubblica un report che evidenzia come sia in atto una collaborazione in ambito nucleare tra Corea del Nord, Siria e Iran per lo sviluppo di missili balistici e testate nucleari. Qualche settimana fa Sim Tack, consulente di Force Analysis, fa notare la singolare somiglianza tra i nuovi missili Khorramshahr di Teheran e quelli Musudan prodotti a Pyongyang. L’unico legame possibile con l’Ucraina riguarda la vecchia tecnologia missilistica sovietica che veniva realizzata alla Yuzhmash dell’allora Dnipropetrovsk (oggi Dnipro). Il resto attiene alla sfera della propaganda russa che cerca di screditare, specie agli occhi degli occidentali, il nuovo corso politico di Kyiv.

Torniamo ora ai rapporti diplomatici tra la Federazione Russa e la Corea del Nord. L’arrivo di Putin nel 2000 fa segnare un parziale cambiamento di rotta rispetto alla politica dei suoi due predecessori. Il Cremlino intende sviluppare un nuovo corso che prevede l’equidistanza tra le due Coree. Che il focus prioritario non sia più Seul come ai tempi di Gorbachev e Eltsin è ben testimoniato dal fatto che la prima visita ufficiale all’estero del neopresidente russo avviene proprio a Pyongyang. Nel corso di quell’incontro si firma un Trattato di Amicizia, Relazioni di Buon Vicinato e Cooperazione che però non prevede alcuna assistenza militare in caso di attacco.

Nonostante la Corea del Nord non sia al top delle priorità della politica estera russa – Mosca è sicuramente molto più interessata a far valere il suo ruolo di rinata potenza nei confronti di Stati Uniti, Europa e Medioriente – è indubbio che i rapporti degli ultimi anni con Pyongyang siano molto più amichevoli.

Quando il 27 marzo del 2014 all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite si vota una risoluzione per invalidare l’annessione della Crimea da parte della Russia, la Corea del Nord, contrariamente alla Cina che si astiene, è tra gli undici paesi a votare contro. Mosca ringrazia e cancella il 90% di un debito di Pyongyang, pari a 11 miliardi di dollari, e decide di usare la parte rimanente per lo sviluppo infrastrutturale del Paese. Nel frattempo Mosca dialoga con Seul e condanna i test nucleari di Kim Jong-un, nella speranza di accreditarsi presso l’opinione pubblica mondiale come un potenziale mediatore tra Corea del Nord e Stati Uniti.

A detta di Motohide Saito la strategia attendista del Cremlino nei confronti di Pyongyang sarebbe la logica risposta a uno scenario in cui qualsiasi tipo di accelerazione finirebbe per essere controproducente per gli interessi russi. Mosca ha interesse a mantenere lo status quo perché nel caso si arrivasse all’unificazione tra le due Coree dovrebbe confrontarsi con un nuovo soggetto politico dotato di armi nucleari che rappresenterebbe una minaccia anche per la Russia.

Inoltre un’eventuale unificazione avverrebbe secondo il modello tedesco, la Corea del Nord verrebbe inglobata in quella del Sud, e questo porterebbe allo spostamento delle forze militari americane nei pressi del confine russo. Anche un eventuale collasso di Pyongyang non sarebbe affatto auspicabile sia per il delicato problema legato all’afflusso di profughi in territorio russo sia per un possibile ingresso diretto della Cina nella Corea del Nord.

Meglio dunque continuare a recitare la parte del mediatore tra Trump e Kim Jong-un, cercando al contempo di screditare a livello internazionale l’amministrazione americana e il suo erratico presidente.