VirginiaRaggi

Virginia Raggi non è certo il primo amministratore ad attribuire ai cambiamenti climatici gli effetti sul terreno di pesanti acquazzoni. Prima di lei aveva parlato di cambiamenti climatici il suo predecessore, Ignazio Marino, dopo la violenta pioggia del 31 gennaio del 2014 che gli valse il nomignolo di “sottomarino”, e ne hanno parlato gli amministratori di Genova dopo la tragica alluvione dell’ottobre dello stesso anno, solo per restare alla storia più recente. L’ultimo, in ordine di tempo, è stato il governatore del Lazio Nicola Zingaretti, che quest'estate ha collegato la mancata ratifica degli accordi sul clima di Parigi da parte di Trump al calo del livello del lago di Bracciano.

Nulla di nuovo, in un paese in costante ricerca di parole magiche con le quale coprire le sue magagne più profonde e problematiche, e soprattutto il costo politico ed economico che sarebbe necessario pagare per affrontarle seriamente. Cambiamento climatico, dissesto idrogeologico, responsabilità vaghe e lontane e soprattutto soluzioni necessariamente fuori della portata di un amministratore locale. Se ci sono i cambiamenti climatici, che cosa mai potrà fare un Sindaco? O un presidente di Regione? D'altronde, se piove la colpa è sempre del clima. 

Per carità, la rete fognaria della capitale potrebbe effettivamente non essere in grado di sostenere gli estremi climatici indotti dal riscaldamento globale - ma le piogge di questi giorni possono essere iscritte d'ufficio a questa categoria? -, così come potrebbe non essere in grado di sostenere l’espansione urbanistica romana degli ultimi decenni, o potrebbe non essere in grado di sostenere l’effetto di anni di scarsa manutenzione ordinaria, che comporterebbero adesso interventi straordinari troppo onerosi per le casse del Campidoglio.

Sicuramente non è stata in grado di sostenere la pioggia, violenta ma non eccezionale, dell’altro giorno, così come tutte le piogge violente ma non eccezionali che si sono susseguite negli ultimi anni. Il cassonetto che naviga in balia delle correnti di fronte al Colosseo potrà essere anche una immagine fuori dal comune, ma di certo non è fuori dal comune la chiusura delle stazioni della metropolitana, che ormai chiudono praticamente sempre, quando piove forte. Un rito ormai fin troppo prevedibile: la pioggia, i disagi, gli allagamenti, le polemiche sul Sindaco in carica, le giustificazioni del Sindaco in carica, gli sfottò in rete, le parole magiche - dissesto idrogeologico, cambiamenti climatici, caditoie, tombini - e avanti così fino al prossimo giro di giostra. Gli incendi estivi o le rare nevicate invernali aggiungono solo qualche variante tematica allo stesso copione.

Roma, e non solo Roma, avrebbe invece bisogno che si rendesse il giusto onore alla complessità dei suoi problemi, alla stratificazione degli interessi corporativi che hanno consumato anche il minimo sindacale della sua capacità di gestire tanto lo straordinario quanto l’ordinario, dal Comune ai Municipi alle aziende partecipate. Interessi che resistono alle diverse amministrazioni - Roma soltanto negli ultimi 5 anni ha sperimentato il governo di tutti e tre i partiti che oggi si contenderebbero il governo del paese - perché preesistono alle stesse amministrazioni, ma sono al tempo stesso la benzina nel serbatoio del loro consenso popolare e il freno più potente alla loro efficienza amministrativa.

Come si diceva una volta per il Papa, a Roma morto - metaforicamente parlando - un Sindaco, se ne fa un altro, che si ciberà del cadavere del suo predecessore, prima di morire della sua stessa malattia e venire divorato a sua volta. L’esperienza del Movimento 5 Stelle è solo la sublimazione in chiave tragicomica di tutto quello che si è già visto finora.