VOUCHER lavoro

Se la CGIL avesse azzeccato il referendum sul Jobs Act, spacchettando in distinti quesiti il ripristino 'potenziato' dell'articolo 18 e l'abolizione del contratto a tutele crescenti, avrebbe involontariamente fatto un favore alla politica italiana.

La Corte Costituzionale avrebbe ammesso i referendum spacchettati, anziché bocciare un unico quesito eterogeneo e logicamente non unitario, e oggi in Parlamento la maggioranza di governo non avrebbe potuto rottamare la riforma simbolo della stagione renziana per scongiurare la tenuta della consultazione referendaria. Si sarebbe dovuto discutere seriamente di un tema serio e poi andare al voto. L'unico modo per aggirare il referendum sarebbe stato quello di andare alle elezioni anticipate, come è spesso avvenuto nella storia italiana,ma i costi, per il PD in particolare, sarebbero stati alti e non del tutto prevedibili.

Invece la CGIL ha clamorosamente sbagliato il quesito sul Jobs Act e tutto il carico simbolico della contestazione contro la "svolta a destra" sulle politiche del lavoro è precipitato sul quesito relativo agli ormai famigerati voucher, che nella vulgata politico-giornalistica sono divenuti una sorta di surrogato "universale" del lavoro dipendente e un istituto destinato a soppiantare i contratti standard.

L'informazione sui voucher, però, non ha alcuna relazione con le dimensioni di un fenomeno residuale che riguarda, mediamente, circa un lavoratore su 100, con abusi percentualmente comparabili a quelli di altre tipologie contrattuali (ad esempio il part time). Il "mostro voucher" è uno dei fake più riusciti della macchina mediatico-politica, e questa mostrificazione occulta il dato più positivo della legalizzazione del lavoro accessorio, cioè quello di sottrarre al nero milioni di piccoli "lavoretti", fino a oggi privi di tipologie contrattuali concretamente applicabili e di coperture assicurative e previdenziali per i lavoratori.

Tutto quel che c'era razionalmente da fare sui voucher - regole più stringenti in tema di tracciabilità - era già stato fatto dal governo Renzi. Quello che chiede la CGIL - di abolire il lavoro accessorio in sé, non di riformarlo - è invece qualcosa del tutto diverso, per non dire opposto, ma è diventato forzosamente un vero e proprio "punto di programma" del governo Gentiloni. Il ministro Poletti ha infatti annunciato che l'esecutivo proporrà di abolire i voucher per l'intero sistema delle imprese, con l'obiettivo non dichiarato, ma esplicito, di disinnescare la possibile bomba referendaria. Ma abolendo il lavoro accessorio, l'esecutivo diventa esso stesso accessorio degli equilibri instabili del PD. Un Governo al servizio di un partito, anzi di un congresso di partito.

Si può realisticamente ritenere che scongiurare il referendum sia un obiettivo "patriotticamente" preminente, anche a costo di una marcia indietro sui voucher in omaggio alla vulgata, cioè all'impostura, che ne denuncia il contagio del mercato del lavoro. Devono pensarlo sia il Presidente Gentiloni sia lo stesso Renzi, che questo sacrificio ha di fatto richiesto, nella Direzione del PD in cui annunciò le sue dimissioni, per sgombrare la stagione congressuale da un ostacolo che rischiava di favorire i suoi avversari interni ed esterni.

Ma abolire i voucher dopo averli difesi e convertirsi per opportunità alla menzogna dopo avere provato a difendere la verità non può essere una strategia vincente. Rimane, anche in termini pratici, una resa a un argomento del "nemico", che non può che favorire il "nemico".

@carmelopalma